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    Fraschetta,
    Home
    Redazione - novionline@novionline.net  
    26 Maggio 2011
    ore
    00:00 Logo Newsguard

    Fraschetta, aumentano i tumori. Quali cause? Perchè non si interviene?

    Riflessioni e opinioni su internet su un problema di attualità

    Riflessioni e opinioni su internet su un problema di attualità

    La zona della Fraschetta, un’ampia zona di 90 mila mq di terre pianeggianti che si estendono da Tortona sino al confine con Alessandria comprendendo Lobbi, San Giuliano, Mandrogne, Cascina Grossa, Litta Parodi, Castelceriolo e Spinetta, sarebbe una delle più pericolose aree del nord Italia a causa del continuo inquinamento che la affligge, sia meteorologico che nel sottosuolo, causa di malattie non solo respiratorie, ma pure cardiovascolari e tumorali. Una bomba ecologica individuata da tempo dall’Asl (ci sono riferimenti di uno studio del 2004, ora aggiornato da nuovi dati allarmanti) ma che nessuno si prende carico di gestire o comunque preservare e i cittadini purtroppo, sono quelli che ne risentiranno e ne risentono maggiormente da un ventennio a questa parte. In un convegno dove l’Asl ha dato forfait, viene evidenziato come un terzo della popolazione deceduta in questi anni, abbia risentito di importanti ricadute a livello cardiocircolatorio (38% negli uomini, 45 nelle donne) seguiti a pari passo dai tumori o forme di cancro che negli uomini arriva al 43% mentre nelle donne si ferma per così dire a 28. La soglia nazionale è stata abbondantemente superata e nei casi più frequenti, si riscontrano danni al cervello, al rene, al pancreas, con impennate superiori al 300% negli ultimi anni, un dato che fa riflettere a partire da un valore che a dire il vero conta relativamente, quello dei PM10, particelle grosse e pesanti tutto sommato meno nocive di altre che causano bronchiti, asma, occlusione delle vie aeree ma sono talvolta eliminate man mano dal corpo. Purtroppo però la zona è sottoposta a forti stress e la soglia critica massima imposta dalla legge viene superata quasi 150 volte durante l’anno, 143 volte in più del massimo consentito. Bloccare il traffico serve a poco, quello che deve essere abbattuto sono gli scarichi delle lavorazioni, ma come fermare le fabbriche e l’economia? Non si può ovviamente, però è auspicabile che l’Asl vagli i livelli delle emissioni sanzionando chi eventualmente, vuole o fa volutamente il furbo. Nella relazione del 2004 si legge “Numerosi studi epidemiologici e dati clinici hanno evidenziato potenziali effetti sulla salute derivanti dall’inquinamento atmosferico, soprattutto nei casi in cui si verifichi un brusco innalzamento delle concentrazioni di contaminanti. In questi casi, l’aumentata esposizione a vari irritanti atmosferici può provocare la riduzione della funzionalità polmonare, l’aumento delle malattie respiratorie, gli attacchi acuti di bronchite e l’aggravamento dei quadri di asma, nonché favorire eventi cardiovascolari acuti. Tali effetti sono più evidenti nelle fasce più sensibili della popolazione costituite dai bambini, dagli anziani e dalle persone già colpite da patologie respiratorie e cardiache. Il Dipartimento di Prevenzione dell’A.S.L. n.20 di Alessandria e Tortona, nell’ambito del Progetto L.IN.F.A., ha costruito e messo in atto uno studio epidemiologico di associazione tra eventuali episodi di patologie respiratorie ed allergiche che possono interessare la popolazione suscettibile infantile nella zona della Fraschetta (sulla base delle rilevazioni effettuate, a partire dal Novembre 2004, dai medici pediatri sentinella) e i dati di rilevamento della qualità dell’aria (CO, NO2, SO2, O3, PM10, Benzene, Toluene, Xilene; le ultime molto più pericolose essendo molecole aromatiche facilmente volatili; ndr) emersi dalle centraline fisse e mobili disponibili. Le evidenze eventuali potranno essere raffrontate con quelle di letteratura tratte da studi scientifici internazionali (International Study on Asthma and Allergies in Childhood – ISAAC) e nazionali (Studi italiani sui disturbi respiratori nell’infanzia e l’ambiente – SIDRIA) aventi per oggetto la prevalenza di patologie respiratorie ed allergiche nell’infanzia, correlabili con l’inquinamento atmosferico urbano. Sono ancora in corso di studio e valutazione gli effetti a lungo termine causati da un’esposizione ad inquinanti presenti a concentrazioni relativamente basse, le cui correlazioni non sono ancora completamente chiare; in ogni caso è stata ipotizzata, tra i vari effetti, la comparsa di malattie polmonari croniche aspecifiche (come la bronchite cronica, l’asma, l’enfisema), la formazione di varie neoplasie maligne (cancro polmonare, leucemie) e in generale un aumento della mortalità per malattie cardiovascolari e respiratorie. Soprattutto nell’ ambito degli effetti a lungo termine , per quanto riguarda le patologie tumorali, il nesso appare di difficile interpretazione, anche se molti degli inquinanti respirati sono cancerogeni e/o supposti tali”.

    E poi c’è la questione Cromo non ancora risolta. (vedi un link a mio avviso interessante http://www.beppegrillo.it/2008/08/le_margherite_p/index.html)

    Già nel 1943 una contessa aveva ottenuto un risarcimento giudiziario dalla Montecatini di Spinetta Marengo (Alessandria) per i cavalli avvelenati dal cromo. Poco appresso, con allarmati studi per la stessa zona, il professor Conti teneva all’università di Genova lezioni di sedimentologia e idrologia. Oggi, il limite di legge ammesso di cromo esavalente, tossico e cancerogeno, è di 5 microgrammi per litro (0,05 milligrammi). In verità il limite per la salute è zero. La Coopsette, a novembre 2007, analizzando i terreni su cui vuole costruire a Marengo un ipermarket, ha riscontrato 288 microgrammi. Così, solo sei mesi dopo l’allarme coop, venerdì 23 maggio 2008 sono apparsi titoloni a sei colonne su giornali e tv: “Bomba ecologica. Falde inquinate. Emergenza pozzi a Spinetta”. Ma dove stava la novità, la sorpresa? La presunta bonifica era già cominciata sei anni prima. Molto tempo prima la dottoressa Rini, capo laboratorio dello zuccherificio di Marengo, fin dagli anni ’80, denunciava ripetutamente sui giornali che l’acqua in falda era al punto inquinata (cromo, titanio, solforico, cloro ecc.) da essere inutilizzabile nella lavorazione delle barbabietole. Inquinata da chi? Dalla Montedison. Un allarme che Medicina democratica negli anni ha ripreso più volte, pubblicando sulla stampa le foto dei bidoni nascosti, rivendicando l’Osservatorio della Fraschetta e contestando i palliativi dell’azienda e delle amministrazioni pubbliche (esempio il progetto Linfa). L’avevamo ancora ripetuto la settimana precedente all’assemblea popolare di Pozzolo Formigaro. Finalmente il 23 maggio l’opinione pubblica è rimasta scossa dall’emergenza idrica, con il sindaco che ordina la chiusura dei pozzi, sollecitato e con un grave ritardo di sei mesi dalle analisi Coopsette. “ Prima che si esaurisca di nuovo l’ondata emotiva – aveva sottolineato Lino Balza Medicina democratica-Movimento di lotta per la salute e con lui altri residenti – invitiamo di nuovo gli enti preposti ad andare a vedere che cosa c’è sotto e attorno allo stabilimento ex Montedison e ora Solvay Solexis e Arkema e Edison. Non ci sono barriere che tengano. Spinetta è come Bussi in Abruzzo, è un altro scandalo nazionale. Nel sottosuolo all’interno della gigantesca fabbrica stanno percolando nelle falde una ventina di veleni sversati, non solo il cromo (altri pigmenti, solventi fluorurati ecc.). Bisogna fare i carotaggi e le analisi. Cosa è stato depositato nel bunker antiaereo di cui si chiacchiera dal dopoguerra? Bisogna andare a vedere. Le colline sullo sfondo dello stabilimento non sono naturali nella piana di Marengo: sono depositi di rifiuti. Bisogna andare a scavare. Provvederanno ASL e ARPA? Lo pretenderà la massima autorità sanitaria comunale, cioè il sindaco di Alessandria, preoccupato di interrompere i cicli produttivi e non altrettanto dell’acquedotto? E gli altri sindaci della Fraschetta? Per i reati commessi, per le misure di emergenza, per i risarcimenti: sarà tempestivo l’intervento della Magistratura? Il Comune si costituirà parte civile? E la Provincia? E la Regione? Sono queste le domande inquietanti che poniamo nel timore che un nuovo velo venga tra qualche giorno a coprire le vergini grida di allarme e sdegno.”

    Così scrivevamo. Stendendo un velo pietoso sul ruolo storico dei collusi sindacati: che, come le tre scimmiette, una con le mani sugli occhi, una sulle orecchie, una sulla bocca, mettono a rischio i posti di lavoro. Il 24 maggio, avvengono l’apertura di una inchiesta della Procura della Repubblica e la riunione di emergenza fra Comune, Provincia, Arpa, Solvay e Unione industriali; alla luce delle quali aggiungiamo le seguenti considerazioni che saranno anch’esse trasmesse alla Procura e a tutti gli enti competenti”

    Lino Balza poi su internet ha pubblicato già da tempo le considerazioni che eranio state portate avanti e che secondo il movimento restano valide

    1. Gli indagabili per l’avvelenamento pubblico non sono “ignoti”. Nessuna legge consentiva neppure nel passato, di sotterrare veleni e a migliaia di tonnellate a rischio e danno dell’ambiente. Fino all’8 maggio 2008 Solvay, dopo aver acquisito lo stabilimento, ha nascosto, malgrado i solleciti che la Provincia afferma aver fatto già dal 2006, ha nascosto i livelli di cromo all’interno della fabbrica: erano 2.000 microgrammi/litro!
    2. La Solvay, subentrata nel 2002 alla Montedison, era molto probabilmente a conoscenza della situazione pregressa della fabbrica addirittura beneficiando dei fondi regionali per la bonifica dei suoli.
    3. La bonifica è stata fissata dalla Regione Piemonte (delibera luglio 2002) con grave sottovalutazione dell’indice di pericolosità. Era per competenza affidata al Comune di Alessandria con la partecipazione tra gli altri di Provincia, Arpa e Asl. I pozzi vengono chiusi il 23 maggio 2008, sei anni dopo. Sarà cura della Procura accertare le responsabilità aziendali e amministrative – affidando le verifiche a enti esterni al territorio provinciale – per i controlli e interventi sottostimati, omessi, taciuti, nascosti. Arpa, Asl, Comune, Provincia, Regione si rimpallano infatti le responsabilità.
    4. Le responsabilità dovranno essere accertate anche per le rilevanti perdite di un vero e proprio fiume di acqua (300 metri cubi l’ora) dai 22 chilometri della fatiscente rete idrica interna, completamente da rifare, perdite conosciute da Comune e Provincia, che avrebbero accelerato e alimentato il deflusso dei veleni in falda, perdite in corso da almeno due anni e non fronteggiate dalle effimere barriere idrauliche della Solvay. La quale preleva ben 33 milioni di metri (litri) di acqua l’anno, più del consumo dell’intera provincia (31 milioni), sia per le lavorazioni (9 milioni) che soprattutto per il raffreddamento delle produzioni (22 milioni).
    5. Non c’è giustificazione per Provincia & C. Tutti i controlli erano possibili anche prima delle più recenti normative ambientali, a maggior ragione per le risapute denunce pubbliche. La Provincia accusa l’Arpa di aver trasmesso i dati solo il 14 maggio 2008. Incredibile. A sua volta l’Arpa accusa che i suoi studi 2007 sono stati ignorati. Come i risultati dell’ispezione Asl nel 2006 (multa di… 35 mila euro) quando il cromo da oltre un anno trasudava dai pavimenti e dai muri di tre palazzine (1.500 microgrammi/litro?!). Nota bene: pur avendo l’Arpa rilevato dal 2002 al 2006 “cromo totale” nei terreni della Fraschetta, gli enti pubblici non hanno mai commissionato l’accertamento del “cromo esavalente” (ma l’Arpa l’ha richiesto?). Anzi, la stessa Arpa viene accusata di averlo rilevato tra il 2003 e il 2004 (ma allora l’ha nascosto?). C’è di peggio nel rimpallo delle responsabilità: il Comune di Alessandria afferma che con ordinanza 2005 impegnava sul cromo esavalente Arpa e Regione, le quali negano di averla mai ricevuta. E’ tutta una matassa di rimpalli che dovrà essere districata dalla Magistratura.
    6. La Solvay oltre a sopportare i costi della bonifica in toto, dovrà essere chiamata in solido per i risarcimenti.
    7. I risarcimenti si riferiscono non solo ai danni sociali ed economici ai privati e alle aziende agricole, ma soprattutto ai danni alla salute passati, presenti e futuri per l’avvelenamento del suolo e delle acque. Danni che comprendono la Fraschetta, entro cui scorre il fiume Bormida che riceve le falde contaminate.
    8. L’avvelenamento va accertato in un’area gigantesca (ben oltre i 10 chilometri quadri iniziali) non solo per il cromo esavalente ma anche per gli altri veleni sversati nei decenni per le lavorazioni dei pigmenti e dei clorofluorocarburi che stanno percolando verso la falda più profonda. L’Arpa afferma di aver trasmesso le segnalazioni alla Procura es. 2002 -2003. Urgono carotaggi e analisi dei depositi nascosti sotto gli impianti, nel bunker antiaereo e nelle colline artificiali attorno. Urge una bonifica radicale, asportando il terreno inquinato a grandi profondità e su un’area gigantesca. Il monitoraggio va esteso a tutta la Fraschetta. Urgono indagini epidemiologiche.
    9. Non è vero che i consumatori di questa area intensamente agricola possono stare tranquilli. Neppure dei prodotti della Paglieri. La Procura dovrà, ad esempio, verificare se è vero che il pozzo in cui sono stati riscontrati 93 microgrammi per litro di cromo nella mega azienda agricola Pederbona non era mai stato utilizzato per abbeverare il bestiame da carne e latte.
    10.  Se anche fosse vero che questo e altre decine di pozzi erano stati usati solo per scopo irriguo, il cromo tossico e cancerogeno è entrato comunque nella catena alimentare tramite foraggio, carni, latte, verdure ecc.
    11. Nei pozzi interni alla fabbrica sono stati riscontrati anche 400 microgrammi/litro di cromo. Addiritura Solvay forniva con i propri pozzi gli abitanti di Spinetta Marengo che utilizzavano l’acqua per usi domestici e per irrigare campi e orti e abbeverare bestiame. Per non parlare dei lavoratori che a migliaia ciascuno per decenni hanno respirato e, in mensa, bevuto e mangiato cromo e non solo.
    12. Sono stati, malgrado le polemiche che sollevammo, buttati via miliardi di soldi pubblici per progetti (Linfa) che non hanno accertato nulla del disastro balzato alla cronaca.
    13. Viceversa Regione, Provincia e Comune non hanno mai voluto realizzare l’Osservatorio ambientale della Fraschetta, che rivendichiamo da venti anni non come delega agli enti pubblici bensì come strumento di democrazia diretta, unica garanzia per le popolazioni a rischio.
    14. La rivendicazione dell’Osservatorio è quanto mai attuale perché se è vero che la drammatica situazione delle falde non è dovuta all’attività in corso alla Solvay, però il polo spinettese resta ad alto rischio chimico e di catastrofe industriale e non solo oggetto anche di recente ad esposti in magistratura per inquinamenti atmosferici. Il polo chimico (Solvay, Arkema, Edison) è un sito inquinato di interesse nazionale che, nella Fraschetta, si aggiunge a quelli dell’Ecolibarna di Serravalle Scrivia e della discarica Barco a Castellazzo Bormida ( 3 su 4 in provincia, 3 su 7 in Piemonte)

    Insomma una bella gatta da pelare, al di là di accuse reciproche e quant’altro: i punti sono disponibili su internet e molti altri sono i commenti: una cosa è certa la zona non è tranquilla, non è serena, va attivato subito un progetto di ampio respiro condiviso dagli enti per arginare un problema ormai ben radicato ma che forse con qualche tecnica, potrebbe essere arginato per salvaguardare oltre all’ambiente, le migliaia di persone che risiedono nella zona. La vita è un bene prezioso e molti lo dovrebbero sapere, Asl in primis ed enti locali in pari luogo. Peccato però che al convegno di Spinetta l’azienda sanitaria fosse assente…

     

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