Luciano Modena: quasi cent’anni. “L’ultimo volo? La settimana scorsa…”
E' l'ospite d'onore della manifestazione che a Novi Ligure festeggia il centenario del primo volo proprio dall'aeroporto cittadino. Ci racconta com'è nata la sua passione per il volo e le mille avventure intraprese
E' l'ospite d'onore della manifestazione che a Novi Ligure festeggia il centenario del primo volo proprio dall'aeroporto cittadino. Ci racconta com'è nata la sua passione per il volo e le mille avventure intraprese
“So che sta partecipando ai festeggiamenti per il centesimo anniversario del primo volo a Novi Ligure…”
“Certo! Sabato sarà una giornata piena. E alla domenica andrò, senz’altro, non posso mancare. Ci saranno i voli, è la parte migliore.”
“E lei volerà?”
“Spero di sì.”
“Quando ha volato l’ultima volta?”
“La settimana scorsa… all’aeroporto di Novi traino gli alianti. Adesso non vado tanto, perché quando traino, cioè tiro l’aliante in volo, vogliono che ci sia un altro pilota con me perché se mi sentissi male… Del resto, bisogna accontentarli.”
“Vorrei che mi raccontasse com’è nata questa passione per il volo…”
“L’aeroplano… io avevo appunto 5 o 6 anni quando ho visto passare un aeroplano, basso… Ero su in collina ed è lì che ho visto il primo. Così come le automobili, allora non erano molti; da queste parti si vedevano solo carri con i cavalli o i buoi. E un bambino, nel vedere un mezzo del genere, cosa pensa: ha paura o è curioso… e io ero abbastanza curioso. Poi, un’estate, ad Alessandria nella piazza d’armi han fatto per 15 giorni le manovre aeree e ne sono arrivati molti da Torino. Volavano di continuo e a mezzogiorno, quando si andava a mangiare, c’era anche qualche pilota che raccontava, quindi lì è stata la prima volta che ho visto volare, ne ho visti tanti e da vicino.”
Mi mostra con orgoglio il libretto della Scuola d’Aviazione “Breda” (a Sesto S. Giovanni) e così gli chiedo “…e quand’è che questa curiosità, questa passione, è diventata realtà?”
“Era il ‘32 quando ho iniziato la scuola per allievi sottoufficiali a Milano. A quei tempi, uno poteva anche farlo da civile ma ci voleva un capitale… non avrei potuto farlo assolutamente. Mesi prima, dopo la visita di leva, mi avevano messo in mano un pezzo di carta con scritto “Arruolato. In congedo, in attesa di chiamata.” Già sapevo che avrei fatto il militare, ma averlo in mano mi aveva fatto un certo effetto; leggerlo così… In qualunque momento avessero deciso, io sarei dovuto andare. Non ero più libero! Qualche tempo prima avevo visto un manifesto dell’Aeronautica Militare che era un bando di concorso. Allora, ho provato a fare i documenti. Non sono riuscito a farli tutti – il bando scadeva dopo una decina di giorni – ma ho scritto che avrei completato la domanda appena ricevuti i documenti mancanti. A novembre è arrivata la comunicazione che ero stato ammesso e così sono andato a Torino per la visita. Ci hanno fatto fare un sacco di prove e, su venti che eravamo, solo in due abbiamo superato gli esami.
Finito lì, sono andato a Capua all’accademia aereonautica che dipendeva da Caserta. Nel ’33 Balbo aveva deciso di fare la trasvolata fino all’America e, visto che allora come oggi mancavano… (mi fa il gesto dei soldi), era stata fatta una “manovrina” (ridacchia) per risparmiare e al mese di maggio non si volava più. Noi pivelli, che eravamo rimasti alla base, ce ne andavamo a spasso (mi fa vedere sul libretto di volo tutte le brevi tratte che si divertivano a percorrere).
Ricordo la volta in cui sono andato a Ciampino e, al ritorno, arrivato verso Velletri, dopo 25 minuti il motore s’è fermato… e ho dovuto atterrare. Sono atterrato in un prato vicino a un gruppo di case. Le istruzioni allora erano: “si sta fermi a far la guardia vicino all’aereo e si manda una messaggio”. Fortunatamente è arrivato un postino e, così, ho mandato un messaggio all’aeroporto vicino (di Nettuno) e, alla sera, sono arrivati con i mezzi per aiutarmi. Non potendo lavorare di notte, abbiamo aspettato il giorno seguente. All’indomani, l’aereo andava. Però, mi sono dovuto fermare a Nettuno due giorni per fare il rapporto di volo… una volta i tempi erano un po’ lunghi.
Ad aprile, dicevo, per effetto delle disposizioni che sono arrivate (in seguito alla trasvolata di Balbo) per risparmiare, mi hanno comunicato che visto che io avevo già fatto tante ore di volo, non avrei più volato. Potevo, però, chiedere congedo anticipato. Sono tornato a casa e per non perdere l’allenamento ho volato un po’ sugli idrovolanti a Genova e poi sono andato a Novi, dove ho continuato a volare.”
Si rabbuia quando sul libretto legge la data del richiamo e inizia a raccontarmi di essersi salvato dalla guerra d’Africa, (per la quale era stata richiamata tutta la leva 1911) proprio per il fatto di essere un pilota. Ma continua dettagliato nella narrazione “Sono rimasto a casa (esonerato anche dall’essere il più grande di quattro fratelli) fino al ’42, quando mi hanno mandato in Sardegna” e mi descrive i bombardamenti a Cagliari, le vittime, i rifugi, ma anche tutte le mansioni che si è trovato a svolgere all’ufficio imbarchi e sbarchi di Olbia, dove è rimasto fino al settembre del ’43. Poi il suo sguardo s’illumina quando mi racconta dell’avventura vissuta per ritornare a casa.
“Era arrivato un pacchetto destinato alla Magneti Marelli a Sesto S. Giovanni. E io ho pensato: se questo pacchetto viene dichiarato importante dai miei superiori io posso scortarlo e con la scusa avvicinarmi a casa. A Olbia c’era un campetto di fortuna sopra all’idroscalo bombardato con un angarino con tre aeroplani che erano un po’ malandati (gli avevano portato via le gomme, la bussola), però io sapevo che, recuperando i pezzi in alcuni magazzini, sarei riuscito a farne volare almeno uno. Dopo averci lavorato su per un po’ sono riuscito a sistemare il più piccolino. E allora sono partito. Cielo coperto e vento a sfavore, non poteva andare peggio. Sono passato basso, sui tedeschi! Ma la benzina non mi sarebbe bastata per arrivare direttamente fino a Genova. Allora sono andato in direzione di Orbetello. Sono passato sul mare a qualche metro sull’acqua per evitare “cattivi incontri”. Ho sfiorato un carro armato tedesco e, sempre a raso terra sono arrivato all’aeroporto di Orvieto. C’era la bandiera tedesca ma dovevo atterrare per forza. Per poter andare a casa raccontavo ai sergenti di avere la malaria – che mi è venuta davvero, poi! – e spiegavo che non ero in grado di guidare gli aerei che avevano loro, e che quindi non potevo essergli utile. Poi, da Orvieto a Siena, e da lì fino a casa, passando alto nelle nubi sopra Pistoia e poi giù basso, tra un campanile e l’altro, a Sestri Levante, fino ad atterrare finalmente a Novi. Sono andato a casa a salutare la mia famiglia, ma il mattino seguente sono partito per Milano a consegnare il pacchetto alla Magneti Marelli” (di cui si ricorda ancora l’indirizzo preciso).
E poi mi racconta di tutta un’altra vita, quella della Edison, delle Radio, degli impianti elettrici, della famiglia, anche se negli anni resta vivo in lui il desiderio del volo. Ricomincia a pilotare a pieno ritmo solo dopo il pensionamento, quando torna nella sua Arquata, per lo più negli aeroporti di Novi Ligure e Alessandria. Costruisce personalmente due aerei, per farli “come dicevo io”, e ancora oggi non si ferma…