Drogati!
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Drogati!

Da tempo sento dire che in Italia siamo drogati e ho sempre pensato (forse sperato) che si sbagliassero. Invece le ultime notizie lette sui quotidiani non fanno che confermare questa idea che all’estero hanno sempre sospettato, seppur mai detto apertamente. Anche perché in fondo il problema è soprattutto nostro.

Da tempo sento dire che in Italia siamo drogati e ho sempre pensato (forse sperato) che si sbagliassero. Invece le ultime notizie lette sui quotidiani non fanno che confermare questa idea che all?estero hanno sempre sospettato, seppur mai detto apertamente. Anche perché in fondo il problema è soprattutto nostro.

 Da tempo sento dire che in Italia siamo drogati e ho sempre pensato (forse sperato) che si sbagliassero.
Invece le ultime notizie lette sui quotidiani non fanno che confermare questa idea che all’estero hanno sempre sospettato, seppur mai detto apertamente.
Anche perché in fondo il problema è soprattutto nostro.

Il mercato italiano è da tempo drogato con i finanziamenti pubblici ed oggi che la crisi si fa sentire pesantemente, gli effetti devastanti di questa finta cura iniziano ad emergere e a creare i danni che molti avevano presto già anni fa.
Il più noto “aiutino” pubblico è quello per le auto, ma in Italia l’incentivo non si nega a nessuno: si va dal tabacco ai trasporti, dalla fibra ottica alle energie rinnovabili.
Il caso più eclatante è appunto sulla “green energy”, in particolare sul fotovoltaico.
In tutto il mondo è un volano per l’economia, ma in Italia, finiti gli incentivi, sta diventando un cimitero di stabilimenti.
L’ultimo caso, passato in sordina, è quello della Solsonica, che al termine della lunga cavalcata sugli incentivi, evidentemente non ha saputo rinnovarsi rispetto alla concorrenza cinese e si ritrova costretta a lasciare in cassa integrazione 222 dipendenti, mentre altri 130 interinali hanno perso il lavoro da un giorno all’altro.
Eppure lo Stato per il fotovoltaico in pochi anni ha speso quasi 7 miliardi, soldi che dovevano servire alle aziende per investire sul futuro, ma a quanto sembra si è pensato solo ad intascare ed oggi a farne le spese sono gli operai.
Una storia molto comune nel nostro paese, basta pensare al cablaggio delle città con la fibra ottica, abbandonato da tempo dai gestori telefonici, in attesa di nuovi investimenti pubblici.

O basta considerare tutti i soldi finiti nella Cassa del Mezzogiorno, che spesso sono serviti solo per aprire stabilimenti di facciata per pochi anni, intascando lauti incentivi.
Oppure pensiamo al protezionismo eccessivo, che ha portato a regalare Lancia ed Alfa Romeo alla FIAT per evitare che aziende straniere entrassero nel mercato nazionale dell’auto, salvo poi vedere chiudere stabilimenti storici come quello di Arese.

Di sicuro non si sarebbe evitata la crisi del settore, ma forse una sana concorrenza interna avrebbe stimolato maggiormente la FIAT, che oggi senza eco-incentivi pare non riuscire ad andare avanti.
Crisi dell’auto sicuramente dovuta alla poca disponibilità monetaria della gente, ma anche alle scelte “al rialzo” tenuto in questi anni da molte case automobilistiche.

Caso esemplare quello della Panda: il vecchio e robusto modello costava circa 4mila euro, alla portata di molti giovani e di chi aveva un budget basso.

Nonostante fosse un campione di vendite, la FIAT ha deciso di lanciare sul mercato un nuovo modello con un prezzo più che raddoppiato, visto che costa sui 9mila euro. 
Poi non ti puoi lamentare che vendi poco.
Anzi, la scelta di migliorare la Panda, lasciandola a 4mila euro, sarebbe stata un ottimo aiuto nel paese della generazione “milleeuro”, ma giustamente per un manager quello che conta è il budget, non il paese.

In generale la situazione appare desolante: stabilimenti fermi o chiusi, immobili invenduti, operai che minacciano gesti estremi, ecc.

Colpa sicuramente della cinghia che si stringe, ma anche di imprenditori che dopo aver munto per bene la vacca pubblica, vanno all’estero per produrre a costi più bassi, al posto di reinvestire in Italia, accontentandosi, magari, di un margine di profitto più basso.

Capitolo a parte poi quello della crisi dell’edilizia.
Se da un lato è vero che le banche, dopo aver concesso mutui anche al primo randagio che passava fuori dalla filiale, oggi chiedono garanzie che pochi possono permettersi, dall’altro la speculazione che si fa sugli immobili ha raggiunto livelli assurdi.

Si creano trilocali in appena 60 metri quadri, vendendoli a cifre esorbitanti, e si continua a costruire ex-novo, senza recuperare i vecchi edifici (evidentemente non convertibili nei tri-loculi di piccola metratura), col risultato di avere migliaia di appartamenti “scatola” e parecchi immobili fatiscenti.
Se l’alternativa è tra un carissimo tri-loculo o un palazzo decadente, come ci si può lamentare che il mercato immobiliare è fermo?

Forse a questa povera Italia serve veramente una cura disintossicante, ma all’orizzonte non vedo cerusici in grado di somministrarla…

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