La storia di Michela, per tre mesi volontaria in Africa
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Elio Defrani - e.defrani@ilnovese.info  
1 Aprile 2013
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La storia di Michela, per tre mesi volontaria in Africa

Michela Ivaldi, 32 anni, volontaria dell’associazione novese Ascolta l’Africa racconta la sua esperienza di tre mesi in Africa. La ragazza ha vissuto nel centro di accoglienza per le “bambine streghe” del Congo. Una realtà durissima, in cui le condizioni di vita, per molte persone, sono davvero ai limiti.

Michela Ivaldi, 32 anni, volontaria dell?associazione novese Ascolta l?Africa racconta la sua esperienza di tre mesi in Africa. La ragazza ha vissuto nel centro di accoglienza per le ?bambine streghe? del Congo. Una realtà durissima, in cui le condizioni di vita, per molte persone, sono davvero ai limiti.

NOVI LIGURE – Per lei, per poterla avere in moglie, sono arrivati a offrire una follia: due mucche. Nelle regioni più povere del Congo si tratta di una vera e propria fortuna. “Quando scherzando ho provato a replicare che non era una proposta molto allettante, mi hanno risposto che ero troppo magra, e dunque dare a mio padre due capi di bestiame equivaleva a strapagarmi”.

A parlare è Michela Ivaldi (nella foto), 32 anni, volontaria dell’associazione novese Ascolta l’Africa che per tre mesi ha vissuto nel centro di accoglienza per le “bambine streghe” del Congo. Una realtà durissima, in cui le condizioni di vita, per molte persone, sono davvero ai limiti.

Michela però ha fatto breccia nel cuore di tutte le persone con cui ha lavorato nel corso di quei tre mesi. C’è riuscita portando con sé dall’Italia la voglia di aiutare e il desiderio di capire. E capire, per lei, è stato fondamentale, anche perché il viaggio a Bukavu, nella regione del Sud Kivu, è servito alla giovane volontaria novese per terminare la propria tesi di laurea in Scienze dell’educazione.

Così Michela è partita per il centro di recupero Ek’Abana, nei pressi di Bukavu, in quella stessa regione che è stata teatro della seconda guerra del Congo, che in cinque anni ha provocato 5,4 milioni di morti. “Arrivando a Bukavu ho capito davvero cosa significa l’espressione “mosca bianca” – spiega Michela Ivaldi – All’inizio fa paura, anche perché in tutta la città c’era una situazione di grande tensione. Spesso per strada si incontravano militari armati: e i militari, lì, non sono sinonimo di ordine e di sicurezza come in Occidente, ma di violenza”.

A Ek’Abana Michela ha fatto di tutto: la bidella, la maestra, l’animatrice, ha lavato e cucito. È stata in un certo senso uno “spirito missionario”, al servizio degli altri. Al servizio, soprattutto, dei bambini ospiti del centro di recupero. Quella delle bambine streghe è una storia che arriva da lontano, che affonda le sue radici nella spiritualità africana. Una spiritualità aperta, gentile, rispettosa, che però negli ultimi anni è stata distorta dalle atrocità della guerra. “Negli slum le famiglie hanno tanti figli, spesso frutto di diversi matrimoni – spiega la volontaria novese di Ascolta l’Africa – Il cibo però è poco, e così certi bambini finiscono per essere malnutriti. E anche maltrattati, se si ribellano a questo stato di cose. Alcuni diventano meninos de rua per dirla alla brasiliana, bambini di strada. Altri vengono “curati” nelle camere di preghiera: sono affidati a stregoni che di fatto li torturano, facendosi anche pagare dalle famiglie per il loro intervento”.

Una situazione di violenza e di povertà che scoraggerebbe chiunque, ma non i volontari di Ek’Abana. “Nel centro di recupero i bambini vengono curati e istruiti – afferma Michela – Poi inizia la fase più dura, per guarire le ferite dell’animo: è un percorso lungo, difficoltoso, ma talvolta si riesce a fare in modo che il bambino torni a vivere con i genitori. E il sorriso di quei bimbi è la soddisfazione più grande per tutti noi”.

Il servizio completo sul Novese in edicola a partire da giovedì 4 aprile.

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