Tari, l’impatto dell’aliquota sulle imprese piemontesi
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Sara Moretto - s.moretto@ilnovese.info  
12 Luglio 2014
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Tari, l’impatto dell’aliquota sulle imprese piemontesi

I dati arrivano da Unioncamere Piemonte: "Emblematico il caso di Novi Ligure, che nel caso dell’industria di trasformazione alimentare è tra i primi 10 Comuni con spesa più elevata, mentre nel caso del parrucchiere passa agli ultimi posti e risulta il terzo Comune con spesa più bassa"

I dati arrivano da Unioncamere Piemonte: "Emblematico il caso di Novi Ligure, che nel caso dell?industria di trasformazione alimentare è tra i primi 10 Comuni con spesa più elevata, mentre nel caso del parrucchiere passa agli ultimi posti e risulta il terzo Comune con spesa più bassa"

NOVI LIGURE – Unioncamere Piemonte, avvalendosi del supporto scientifico di Ref Ricerche, ha aggiornato la banca dati delle tariffe per consumo di acqua e smaltimento rifiuti (Tasp) alla luce dell’introduzione dell’Imposta Unica Comunale e, nello specifico, della Tari.
 
Dal monitoraggio effettuato nei primi mesi del 2014 sui Comuni con popolazione superiore a 5mila abitanti, emerge che in Piemonte solo 50 su 134 hanno deliberato le aliquote della Tari (tra cui i Comuni capoluogo di Asti, Biella, Cuneo e Verbania), per una popolazione complessiva di quasi un milione di abitanti. La maggior parte dei Comuni ha adottato una struttura tariffaria binomia, ovvero con una quota fissa e una quota variabile.

“L’introduzione della Tari ha modificato ancora una volta il quadro normativo di riferimento, rendendo ancor più necessaria l’attenzione e la trasparenza sulla fiscalità locale – commenta Ferruccio Dardanello, Presidente Unioncamere Piemonte – Il Sistema camerale ha voluto ribadire il proprio ruolo di monitoraggio e valutazione dell’impatto della tassazione locale, soprattutto sulle piccole e medie imprese, con l’obiettivo di fornire strumenti utili a leggere e interpretare i fenomeni in atto, per aiutare i nostri imprenditori a pianificare e orientare i propri investimenti”.

La variabilità della spesa all’interno dei confini regionali si conferma molto elevata per le imprese, con un valore massimo, ad esempio nel caso delle industrie di trasformazione alimentare, pari a circa 12 volte quello minimo. Inoltre, guardando la ricostruzione della spesa, emerge come la graduatoria dei Comuni sia strettamente collegata al “profilo tipo” delle imprese presenti sul territorio: emblematico il caso di Novi Ligure, che nel caso dell’industria di trasformazione alimentare è tra i primi 10 Comuni con spesa più elevata, mentre nel caso del parrucchiere passa agli ultimi posti e risulta il terzo Comune con spesa più bassa.

“L’introduzione della Tari ha determinato una redistribuzione del carico tra le diverse categorie di utenza, in virtù del principio chi inquina paga – scrivono da Unioncamere – Ciò ha comportato variazioni di spesa differenziate a seconda dei profili considerati e anche del regime tariffario precedentemente in vigore. Nel caso specifico delle imprese, inoltre, un impatto non secondario è dato dall’adozione di un’articolazione tariffaria molto più dettagliata (30 categorie con eventuali sub-categorie) rispetto a quella utilizzata in regime Tarsu”.

Per quantificare gli effetti dei nuovi principi tariffari, la variazione della spesa è stata calcolata sul biennio 2012-2014, in modo da cogliere l’impatto determinato sia dall’eventuale introduzione della Tares che dall’adozione della Tari.

“Nel caso delle utenze non domestiche – continuano – gli aumenti più consistenti interessano le categorie produttive caratterizzate da una maggiore producibilità di rifiuto: è il caso, ad esempio, dei ristoranti, per i quali l’incremento medio è del 40 per cento e, in misura considerevolmente minore, del parrucchiere (4 per cento). Al contrario, per le attività considerate a bassa producibilità di rifiuto, come i capannoni industriali, la spesa annua registra un calo medio di quasi il 5 per cento, sforando in alcuni casi l’80 per cento. A trarre vantaggio dalla redistribuzione del carico sono anche gli alberghi senza ristorante, per i quali la spesa registra un calo di circa 3 punti percentuali, con picchi di quasi 60 punti”.

 

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