Il Barchì, un pezzo della storia di Arquata
Un angolo di curiosità, un luogo importante per la storia del paese, che non tutti, giovani in particolare, conoscono. Il Barchì era una costruzione adibita a vasca di raccolta dell'acqua, realizzata per venire incontro al cresciuto fabbisogno della popolazione arquatese
Un angolo di curiosità, un luogo importante per la storia del paese, che non tutti, giovani in particolare, conoscono. Il Barchì era una costruzione adibita a vasca di raccolta dell'acqua, realizzata per venire incontro al cresciuto fabbisogno della popolazione arquatese
Una storia curiosa, un angolo di curiosità che potrebbe diventare spunto di riflessione per giovani e meno giovani, recentemente ripercorsa da Gianni Parodi sulla pagina Facebook “Sei di Arquata scrivia se…”. Il Barchì era una costruzione adibita a vasca di raccolta dell’acqua, costruito nella piazzetta di S. Rocco nell’ultimo decennio del ‘700, realizzato per venire incontro al cresciuto fabbisogno idrico della popolazione arquatese. Infatti il 21 settembre 1784 il Consiglio della Comunità di Arquata prese in esame la critica situazione idrica del paese, specialmente nella parte inferiore del borgo, che andava dalla chiesa di S. Giacomo a quella di S. Bartolomeo, obbligando i suoi abitanti a ricorrere al pozzo della piazza del Mercato per attingere l’acqua per il loro uso e per abbeverare il bestiame.
Le sole sorgenti di Carraria non bastavano, così venne realizzato un acquedotto principalmente in mattoni che, prelevando acqua abbondante nella valle di Radimorone, scendeva gradatamente, passando per i Lottini e poi sopra la vigna dei Cambiaso (Patota) e si abbassava così verso piazza S. Rocco, attraverso il vico Quaglia fino alla vasca. Nell’autunno del 1785 si iniziò i lavori per la costruzione di questo acquedotto impiegando circa 60 mila mattoni, 265 mine di calce, 2500 stari di sabbia, 350 rubbi di pozzolana (circa 2800 kg) e molti cariaggi di sassi e lastre di pietra.
Terminato l’acquedotto, nel 1790 si iniziò la costruzione del barchile, con l’impiego di circa 35 mila mattoni, calce, sabbia, sassi, 2 mila coppi e 500 pianelloni, piastre di piombo, ferri per le chiavi e altro materiale tra cui 30 quintali circa di porcellana, che veniva portata nei mulini di Pietrabissara e Creverina per essere macinata finemente.
Il Barchile era una costruzione rettangolare, con i lati maggiori leggermente a scarpa nella parte inferiore e paralleli all’odierna via Libarna, situata esattamente dove ora si trovano le due aiuole in piazza S. Rocco. Aveva il tetto a due falde con copertura di coppi in laterizio e gli era stata conferita una facciata, sul lato nord, somigliante a una piccola chiesa, forse consimile alla vicina chiesetta di S. Rocco e demolita nel 1820 per far posto alla realizzazione della nuova strada Regia; questa facciata era modulata sul corpo centrale da una coppia di lesene e al centro una falsa porta a nicchia con parte superiore ad arco delineata da una cornice di pietra, mentre il registro superiore era a forma di lunetta con parte centrale incassata. Sulla parte superiore delle due lesene furono applicati due mascheroni in marmo forniti dallo scultore genovese Andrea Torre ( lo stesso che nel 1762 aveva costruito l’altar maggiore della chiesa parrocchiale arquatese ). Sulla sommità degli spigoli esterni dei due corpi laterali della facciata vennero collocate due pigne di pietra con il loro piedistallo, segnate nella lista di spesa come articiocche ( carciofi ), realizzate da Contardo Pelanda di Silvano. Di questo artigiano era anche la vasca, in pietra (trogiu), collocata esternamente contro il Barchile da cui fluiva l’acqua dentro, sul lato a valle verso la via Maestra, nella quale andavano ad abbeverarsi gli animali.
L’acquedotto del barchile, con l’andar degli anni, aveva sempre più bisogno di manutenzione e così, durante il Consiglio comunale del 26 settembre 1886, il sindaco Sabino Lombardi evidenziò che la condotta di acqua che alimentava il Barchile, realizzata un secolo prima, era ormai vetusta e poco solida la costruzione. A tale proposito illustrò l’ipotesi di costruire una galleria in linea retta dalla sorgente che alimentava e la parte superiore di Via Carrara, oltre a evitare, mediante una brevissima canalizzazione, la dispersione dell’allora attuale quantità di acqua; con quel progetto sarebbe stata triplicata con lo sfruttamento delle sorgenti esistenti in zona. Passò del tempo con la modifica di alcuni progetti e nuovi lavori aggiunti all’originale quando, il 26 gennaio 1890, si stabilì la convenzione con l’impresa edile Carlo Denegri di Timoteo per la costruzione della nuova derivazione d’acqua potabile del Barchile con i nuovi maggiori lavori da eseguire.
La sorgente dove partiva la galleria costruita dal Denegri (detto “U sciu Loli”) è ancora esistente: si tratta di un pozzo con torretta, purtroppo in pessime condizioni, dove si vede sul fondo ormai asciutto, a circa 4 metri di profondità, l’inizio della galleria.