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Le piazze: ecco perchè dovrebbero diventare (davvero) di tutti

La piazza come luogo di relazioni. E’ questo l’aspetto fondamentale che dobbiamo recuperare. La riqualificazione di Piazza Santa Maria di Castello, ad esempio, deve passare attraverso una commistione di funzioni dedicate a un’utenza eterogenea: un’area mercatale, una sede naturale per manifestazioni varie, un arredo urbano che possa agevolare la socializzazione ...

La piazza come luogo di relazioni. E’ questo l’aspetto fondamentale che dobbiamo recuperare. La riqualificazione di Piazza Santa Maria di Castello, ad esempio, deve passare attraverso una commistione di funzioni dedicate a un’utenza eterogenea: un’area mercatale, una sede naturale per manifestazioni varie, un arredo urbano che possa agevolare la socializzazione ...

OPINIONI – La storia della piazza risale ai primordi dell’organizzazione della civiltà occidentale.
Essa rappresenta, da sempre, il fulcro della struttura urbana e l’addensarsi delle funzioni che possono servire l’insieme della società. Storicamente è lo spazio della mescolanza umana, dove “le differenze sociali non sono annullate, ma mitigate”.
Nella civiltà europea essa raggiunge la sua massima espressione condensando le funzioni civiche, politiche, religiose e mercatali.
Tuttavia, negli ultimi decenni, la piazza occidentale ha gradualmente perso la funzione di catalizzatore sociale dello spazio urbano. Questo ruolo è stato via via assorbito da nuove forme spaziali di socializzazione: i grandi centri commerciali, gli aeroporti, le stazioni ferroviarie. Luoghi in cui prevale la sola funzione economica, ma soprattutto “luoghi ai quali si accede perché clienti e non perché cittadini”, come sostiene l’urbanista Edoardo Salzano.
Secondo Marc Augè si tratta di superluoghi “isolati dalla realtà cittadina che ridiventano, almeno in parte, luoghi di scambio sociale, sempre però dal punto di vista del consumo”.
In tali contesti viene meno la caratteristica dello spazio pubblico come naturale prolungamento della vita che si svolge nell’abitazione.
Se allarghiamo l’orizzonte e consideriamo alcune esperienze fuori dall’Europa e dagli Stati Uniti, vediamo come oggi alcuni ambiti urbani abbiano ridefinito la piazza, puntando nuovamente sulla sua vocazione di spazio del bene comune. Forse è proprio da queste esperienze che dobbiamo ripartire.
In America Latina, nelle zone degradate di alcune grandi città, si è scelto di puntare sulla qualità architettonica degli edifici per generare poli di socializzazione e d’incontro per la comunità, spesso dando una risposta a condizioni di degrado e violenza. Un esempio fra tutti è quello della biblioteca Parque España (nella foto a destra) in una favelas della città Santo Domingo, in Colombia, opera dell’architetto Giancarlo Mazzanti: edifici a destinazione pubblica prospicenti uno spazio di aggregazione, che costituiscono il prototipo per la nascita della nuova piazza urbana. Un luogo progettato a posteriori diventa, pertanto, il fulcro di un quartiere originariamente privo di pianificazione, spazio catalizzatore per gli abitanti che dà finalmente significato al quartiere.
Gli edifici pubblici, progettati da Mazzanti, fanno coesistere una serie di funzioni differenti. Si tratta di un’azione di agopuntura su zone sensibili, attraverso l’inserimento di architetture che fanno molte cose allo stesso tempo: il cortile della scuola diventa un mercato durante il fine settimana, le aule sono luoghi per le riunioni delle associazioni di quartiere, la cucina della mensa può essere usata per le attività pubbliche.
Anche negli Stati Uniti lo sprawl, la vasta espansione dei grandi agglomerati urbani, ha creato l’esigenza di individuare nuovi luoghi pubblici e nuove strutture civiche. “Rispetto a una spinta orientata alla segregazione e alla separazione per linee di classe sociale, razza e censo”, sostiene l’urbanista Fabrizio Gallanti, “questi progetti sono porosi, nel senso che riconquistano una dimensione di inclusione delle differenze”.
L’esempio più significativo è la biblioteca di Seattle (nella foto a sinistra), progettata da Rem Koolhaas: una struttura completamente permeabile, non regolata da controlli e filtri, e per questo diventata un fulcro importantissimo della vita urbana, frequentata da una popolazione eterogenea, dagli studenti universitari piuttosto che dai comuni cittadini e dai senzatetto della città che “trovano rifugio e accesso a una cultura troppo spesso negata”. Si tratta di un nuovo concetto di piazza, coperta, iconica ma assolutamente accessibile.
Lo spazio pubblico assume significato e prende forma grazie alla collettività, alle persone che lo usano e lo plasmano quotidianamente e all’insieme di funzioni cui viene deputato.
Interessante ricordare come nel 2012 l’importante premio dell’European Prize for Urban Public Space, dedicato allo Spazio Pubblico, sia stato dato a un progetto spontaneo e collettivo quale l’accampata della Puerta del Sol a Madrid, l’insieme di persone e tende che diede inizio, un anno fa, al movimento degli Indignados in Spagna.
Proprio in Spagna, nonostante la crisi, le amministrazioni pubbliche continuano a puntare sulla realizzazione di innumerevoli spazi pubblici: piazze, passeggiate che costeggiano il mare o fiumi, parchi, interventi talvolta minuscoli “manifestano una forma di permanenza dell’ipotesi che la città sia costituita dall’interazione sociale degli abitanti al di fuori delle sfere del consumo, vere e proprie sacche di resistenza contro la speculazione immobiliare scatenata che è stata alla base della situazione economica attuale”, sostiene Gallanti.
Nella città di Alessandria assistiamo, ultimamente, a una presa di coscienza sul fatto che le piazze e, in generale, i luoghi pubblici devono tornare ad assumere il loro ruolo civico.
Nell’ultimo decennio le piazze storiche sono state private, gradualmente, della loro funzione di catalizzatori sociali, mentre i centri commerciali ai margini della città hanno assunto il ruolo della piazza urbana, pur non presentandone le caratteristiche peculiari.
Se consideriamo i due fulcri urbani per eccellenza della nostra città, Piazza della Libertà e Piazza Garibaldi, non possiamo che constatare come la scelta di destinare l’area centrale a parcheggio per le automobili ne abbia compromesso la funzione sociale: questi spazi non sono percepiti come luoghi di raccolta, ma come zone di transito separate dal contesto.
Per Piazza Santa Maria di Castello, oltre al fatto che fisicamente necessita di un intervento di recupero, a venir meno sono proprio le funzioni che si affacciano sull’invaso.
La riqualificazione deve avvenire attraverso l’individuazione di una serie di funzioni ben definite che possano ridare identità al quartiere. Nell’ultimo anno stanno sorgendo alcune attività che stanno connotando in maniera interessante la piazza, vedi gli spazi commerciali che già sono insediati e che sorgeranno in futuro grazie all’iniziativa della Comunità di San Benedetto al Porto.
La riappropriazione dei cittadini del luogo pubblico passa attraverso una commistione di funzioni dedicate a un’utenza eterogenea: un’area mercatale, una sede naturale per manifestazioni varie, un arredo urbano che possa agevolare la socializzazione fra le persone possono realmente essere la soluzione.
Non è indispensabile che la trasformazione si origini da un intervento strutturale di ampio respiro, ma lo spazio può essere eletto a pubblico da un’azione sociale condivisa, talvolta spontanea, ma anche innescata da uno stimolo originato dall’amministrazione pubblica.
E’ da qui che dobbiamo ripartire.
La piazza come luogo di relazioni. E’ questo l’aspetto fondamentale che dobbiamo recuperare.
Lo slogan del newyorkese “Occupy”, movimento di protesta contro le diseguaglianze economiche e sociali nato in seguito alla recente crisi finanziaria del 2011, sintetizza pienamente il significato della piazza e dello spazio pubblico come luogo deputato alla vita della comunità:
“See you in the streets”, “Ci vediamo per le strade”.