Ultime “bordate” al processo contro le aziende del polo chimico
I difensori Solvay al processo per inquinamento delle acque e omessa bonifica giocano le ultime carte nelle arringhe finali con una formula ormai consolidata: smantellare l'accusa. "Dagli impianti Sovay solo fuoriuscite di acqua pulita. Erano i terreni ad essere inquinati da decenni"
I difensori Solvay al processo per inquinamento delle acque e omessa bonifica giocano le ultime carte nelle arringhe finali con una formula ormai consolidata: smantellare l'accusa. "Dagli impianti Sovay solo fuoriuscite di acqua pulita. Erano i terreni ad essere inquinati da decenni"
Per Solvay apre la serie di arringhe, che si concluderanno nella prossima ed ultima udienza, il 29 giugno, l’avvocato Dinoia. Parte con i toni alti, affermando che il pubblico ministero ha “cambiato le norme in base alle sue esigenze”. Quindi, chi “avvelena” diventa “chi contamina”; le acque ad uso potabile diventano “ad uso potenzialmente potabile”. Conclude ipotizzando che l’accusa, sostenuta da Riccardo Ghio, non abbia neppure voluto rivolgersi ai giudici nella sua tesi accusatoria, ma “a chi, al di fuori dell’aula del tribunale, non ha accesso ai documenti, per alimentare strumentalmente nella collettività l’aspettativa di un’ingiusta condanna”.
Il Pubblico ministero, secondo Dinoia, doveva una risposta alla cittadinanza, cioè se la popolazione di Alessandria ha o meno bevuto per 20 anni acqua avvelenata.”Il pm non ha voluto riconoscere che centinaia di certificati di analisi hanno sempre riscontrato al potabilità di quelle acque addirittura evitando di ricordare che questo procedimento nasce da una Cnr – comunicazione di avviso di reato – completamente falsa visto che non erano mai stati superati i limiti di legge sulla potabilità delle acque”.
Solvay, poi (è sempre Dinoia che parla in aula) ha solo avuto perdite di “acqua fresca”… l’inquinamento era nei terreni, ed era lì da decenni.
Sull’accusa di omessa bonifica, infine, Dinoia ha rimarcato che non può esserci reato in assenza di un progetto di bonifica approvato dagli Enti, e anche l’ipotesi di omessa comunicazione agli enti sarebbe comunque prescritta già dallo scorso anno.
Tocca all’avvocato Pulitanò “terminare” il processo di demolizione dell’impianto accusatorio di Ghio: “nei discorsi dell’accusa e’ mancata qualsiasi considerazione relativa a valori e principi fondanti dell’ordinamento giuridico e che l’orizzonte dei principi fondanti della nostra civiltà giuridica non sia entrato nei discorsi del l’accusa nemmeno in sede di replica”. Se la miglior difesa è l’attacco, ecco che la esercitano i difensori di Solvay.
Quindi, ancora una volta, l’acqua inquinata (o contaminata) non era destinata ad uso umano e non vale se in futuro potrebbe diventarlo: “solo l’attualità dell’uso dell’acqua avvelenata può determinare quel concreto pericolo per la salute pubblica a fronte del quale è previsto un trattamento sanzionatorio di estremo rigore”.
‘Il rischio di un uso potabile delle acque contaminate e’ inesistente per le ragioni richiamate dallo stesso PM: la bonifica in corso, divieti normative. Quelle acque non sono mai state destinate ad uso potabile”.
Tutto già detto, ieri ribadito. E’, o dovrebbe essere, la penultima udienza di un processo durato due anni, che ha prodotto montagne di carte e documenti, valanghe di parole. Il presidente del collegio giudicante, il giudice Sandra Casacci, non si stanca di prendere appunti, fino all fine. A settembre ha annunciato la sentenza.