Sexting, quando è la fotografia a sfuggire di mano
Anche a Novi è scoppiato il boom delle ragazze giovanissime che si mostrano completamente nude sui propri smartphone. L'ultimo caso è quello di una studentessa sedicenne la cui immagine autoscattata gira per tutta la rete e finisce su molti telefoni. Prolifera il fenomeno della microprostituzione
Anche a Novi è scoppiato il boom delle ragazze giovanissime che si mostrano completamente nude sui propri smartphone. L'ultimo caso è quello di una studentessa sedicenne la cui immagine autoscattata gira per tutta la rete e finisce su molti telefoni. Prolifera il fenomeno della microprostituzione
Tra i ragazzi delle superiori la foto ha molto successo. Su internet di foto così se ne trovano a milioni, ma sapere che è una bellezza nostrana forse fa tutto un altro effetto.
La foto di Jessica (chiamiamola così) è solo una delle tante foto che finiscono in pasto ai servizi di messaggistica e sfuggono a qualsiasi controllo.
Infatti, se ad esempio possiamo controllare una foto diffusa su Facebook, che resta comunque collegata al profilo di qualcuno, non è praticamente possibile mettere in atto alcun controllo sulle foto diffuse attraverso i cellulari. La foto inviata viene copiata dal telefono mittente a quello ricevente, che ne entra in possesso e può farne ciò che vuole.
D’altra parte, però, la legge parla chiaro: oltre alla violazione della privacy relativamente alla diffusione di foto senza autorizzazione del soggetto ritratto, la diffusione di immagini di minori in atteggiamenti o pose particolari configura il ben più grave reato di pedopornografia.
Lo stesso Whatsapp è vietato ai minori di 16 anni: divieto assolutamente ignorato, vista l’enorme diffusione della servizio di messaggistica tra i ragazzi delle medie.
Si tratta di un fenomeno nuovo, per il quale è stata anche inventata una nuova parola: sexting. Il nuovo termine, formato dall’unione delle parole inglesi sex (sesso) e texting (inviare messaggi di testo) è un neologismo utilizzato per indicare l’invio di messaggi sessualmente espliciti o immagini inerenti al sesso, principalmente tramite telefono cellulare, ma anche tramite altri mezzi informatici.
Molto spesso il sexting sfugge di mano ai ragazzi e diventa molto dannoso: le foto che dovrebbero restare private sfuggono di controllo e cominciano a diventare virali, come nel caso della foto della studentessa novese.
Al sexting va aggiunta un’altra parola nuova, cyberbullismo, che non è altro che l’estensione del bullismo su internet. Quando i due fenomeni si combinano, il risultato è micidiale.
L’anno scorso due sedicenni vicentini sono stati denunciati da una loro coetanea per aver postato su Whatsapp sue foto senza veli. Le indagini, ordinate dal tribunale dei minori di Trento, hanno portato all’accusa per i due di possesso e diffusione di materiale pedopornografico. Due i casi segnalati alla polizia postale di Pordenone quest’anno: riguardano coppie di fidanzatini che frequentano le scuole medie. Immagini intime, catturate da uno scatto, che diventano di dominio pubblico fra coetanei attraverso i gruppi via Whatsapp.
Ma il caso di “Jessica” non è l’unico di cui parla la città. Pare che sia diffuso a livello cittadino anche il fenomeno della cosiddetta “microprostituzione”, dove adolescenti inviano loro immagini e video sessuali in cambio di piccoli regali, modeste somme di denaro o ricariche telefoniche. Il passaggio dalla micro alla prostituzione vera è propria è molto facile, anche perché molto spesso i clienti che pagano vedere sul cellulare le foto della figlia del vicino di casa in atteggiamenti provocanti non sono ragazzi ma adulti con una certa disponibilità economica, e che non si accontentano solo di guardare.
Non si tratta, purtroppo, di episodi nuovi: dieci anni fa finì nei guai un 60enne di Basaluzzo, con l’accusa di aver indotto alla prostituzione una minorenne di Novi. Il caso suscitò scalpore in città, anche perché gli incontri della ragazza venivano filmati e diffusi nel settore dei video pornografici. Tutto ciò, senza l’aiuto di Facebook o Whatsapp…
È evidente che esiste un problema: la realtà percepita come virtuale ha invece profonde ripercussioni sulla vita reale, ma non tutti se ne rendono conto. Non se ne rende conto chi si fa ritrarre da una foto, non se ne rende conto chi la fa girare. Chi si dovrebbe occupare di controllare e di educare spesso abdica a questa funzione: la famiglia in primo luogo, e la scuola in seconda battuta.
A volte basta poco: in molte scuole piemontesi è partito un progetto molto semplice, che si basa sulla visione di un film che parla proprio delle relazioni tra internet, adolescenti, famiglie e scuola.
Si tratta di “Disconnect”, un film del 2012 diretto da Henry Alex Rubin con protagonista Jason Bateman. Il film è molto gradevole e racconta una storia che riesce a coinvolgere il pubblico adolescente, ed è usato come chiave di accesso a una riflessione più approfondita sul rapporto tra i giovani e la comunicazione online.