Danno
Cronaca, Home
Irene Navaro - irene.navaro@alessandrianews.it  
16 Dicembre 2015
ore
00:00 Logo Newsguard

Danno ambientale, alla fine chi paga?

Sul riconoscimento dei danni ambientali la sentenza della Corte d'Assise rimanda ad un articolo del Codice dell'Ambiente: il ministero dovrà quantificare ed attivarsi "anche esercitando l'azione civile in sede penale, per il risarcimento del danno ambientale in forma specifica e, se necessario, per equivalente patrimoniale". Intanto Solvay specifica: la condanna è per disastro colposo, non avvelenamento

Sul riconoscimento dei danni ambientali la sentenza della Corte d'Assise rimanda ad un articolo del Codice dell'Ambiente: il ministero dovrà quantificare ed attivarsi "anche esercitando l'azione civile in sede penale, per il risarcimento del danno ambientale in forma specifica e, se necessario, per equivalente patrimoniale". Intanto Solvay specifica: la condanna è per disastro colposo, non avvelenamento

ALESSANDRIA – Sta tutta nell’interpretazione delle norme la chiave di volta dellasentenza emessa dal presidente della Corte di Assise di Alessandria, Sanda Casacci, che condanna a due anni e sei mesi di resclusione quattro dirigenti dellostabilimento del polo chimico di Spinetta Marengo. E, in attesa delle motivazioni, che saranno pubblicate entro 90 giorni, si va a tentoni.
A partire dal risarcimento del danno. Mentre la Corte ha quantificato quello che dovrà essere riconosciuto al comune di Alessandria (50 mila euro), alle associazioni (25 mila euro) e ad alcune parti civili (10 mila euro), per quanto riguarda la richiesta del ministero dell’Ambiente, ammontante a 100 milioni di euro, si rimanda all’articolo 311 del codice dell’ambiente, che recita: 
“Il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare agisce, anche esercitando l’azione civile in sede penale, per il risarcimento del danno ambientale in forma specifica e, se necessario, per equivalente patrimoniale, oppure procede ai sensi delle disposizioni di cui alla parte sesta del presente decreto. 2. Chiunque realizzando un fatto illecito, o omettendo attività o comportamenti doverosi, con violazione di legge, di regolamento, o di provvedimento amministrativo, con negligenza, imperizia, imprudenza o violazione di norme tecniche, arrechi danno all’ambiente, alterandolo, deteriorandolo o distruggendolo in tutto o in parte, è obbligato all’effettivo ripristino a sue spese della precedente situazione e, in mancanza, all’adozione di misure di riparazione complementare e compensativa di cui alla direttiva 2004/35/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 aprile 2004, secondo le modalità prescritte dall’Allegato II alla medesima direttiva, da effettuare entro il termine congruo di cui all’articolo 314, comma 2, del presente decreto. Quando l’effettivo ripristino o l’adozione di misure di riparazione complementare o compensativa risultino in tutto o in parte omessi, impossibili o eccessivamente onerosi ai sensi dell’articolo 2058 del codice civile o comunque attuati in modo incompleto o difforme rispetto a quelli prescritti, il danneggiante è obbligato in via sostitutiva al risarcimento per equivalente patrimoniale nei confronti dello Stato, determinato conformemente al comma 3 del presente articolo, per finanziare gli interventi di cui all’articolo 317, comma 5.”

Da rilevare come la provincia di Alessandria non sia stata riconosciuta come parte civile danneggiata, nonostante si fosse costituita come tale all’avvio del processo.

La questione era emersa anche durante le fasi dibattimentali: parrebbe capire che le direttive dell’Unione Europea, recepite dall’ordinamento italiano, tendano non tanto a privilegiare il risarcimento in denaro del danno ma chiedere ai responsabili il rirpistino delle condizioni ambientali pregresse. Il risarcimento arriverebbe solo quando i responsabili – in questo caso i condannati in primo grado – non procedano con azioni concrete. Il ogni caso, sarà il ministero a dover decidere quale strada percorrere.
Sempre durante in dibattimento, i consulenti delle aziende avevano ipotizzato tempi molto lunghi per la bonifica. 

In ogni caso, Solvay,che dal 2002 rilevò lo stabilimento, precisa in una nota ufficiale che la condanna non è relativa al reato di avvelenamento, bensì di “disastro”. 

“L’indicazione da parte di alcuni organi di stampa alessandrini, di una condanna per avvelenamento colposo è completamente errata e danneggia gravemente l’immagine della società, perché evoca il fatto che le acque destinate all’alimentazione umana siano state avvelenate seppure colposamente.
Viceversa la Corte di Assise ha ritenuto che le acque destinate all’alimentazione umana non siano state né avvelenate né adulterate ed ha invece individuato un reato diverso, vale a dire il disastro colposo di cui all’articolo 449 primo comma c.p., che non riguarda le acque destinate direttamente all’alimentazione umana.
L’avvelenamento colposo è previsto dall’articolo 452 c.p. mentre il disastro dall’art. 449 primo comma c.p., fattispecie ritenuta dalla Corte.
Tutt’altro discorso è come i Giudici siano giunti a derubricare l’avvelenamento doloso in disastro colposo, ma ciò sarà oggetto dei motivi dell’appello”.

SEGUI ANCHE:

dossierspinetta