Operazione Triangolo: nuove indagini, vecchie abitudini
Nel giugno del 2015 i Carabinieri del Noe (Nucleo Operativo Ecologico) e la Forestale fanno scattare loperazione triangolo dopo un lungo percorso di indagini cominciato nel 2011 e coordinato dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Torino, ma che riguardano da vicino la provincia alessandrina
Nel giugno del 2015 i Carabinieri del Noe (Nucleo Operativo Ecologico) e la Forestale fanno scattare loperazione triangolo dopo un lungo percorso di indagini cominciato nel 2011 e coordinato dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Torino, ma che riguardano da vicino la provincia alessandrina
Il problema è che se aspettiamo il tempo che ci vuole, e in Italia è parecchio, questa storia ve la raccontiamo tra 10 anni. Almeno.
Quindi, proviamo a metterla giù lo stesso. Nel giugno del 2015 i Carabinieri del Noe (Nucleo Operativo Ecologico) e la Forestale fanno scattare l’operazione “triangolo” dopo un lungo percorso di indagini cominciato nel 2011 e coordinato dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Torino. Le indagini partono grazie alle segnalazioni della “Casa della Legalità”, una associazione di cittadini che hanno costituito un osservatorio sulla criminalità e le mafie, sui reati ambientali e sulla trasparenza Pubblica amministrazione.
Le indagini portano alla luce un ingente traffico illecito di rifiuti, terre e rocce da scavo, derivati da lavori pubblici nel settore stradale e ferroviario e provenienti da siti di bonifica del genovese, torinese e del basso Piemonte che invece di essere smaltiti correttamente sono finiti in cave e impianti di recupero della provincia di Alessandria.
A finire nell’indagine sono in 65. Al vertice dell’organizzazione secondo gli inquirenti l’imprenditore di Tortona Francesco Ruberto e il figlio Daniele, che in collaborazione con Sandro Gandini, titolare della Autostrasporti Gandini di Voghera, hanno organizzato il giro che ha portato allo smaltimento illecito di 250 mila tonnellate di rifiuti.
La ricetta è sempre la stessa, ma ve la raccontiamo di nuovo. Quello che serve è parecchio materiale inquinato da smaltire e qualche gran buco da riempire. Si prende il materiale inquinato, ci si fa pagare per smaltirlo, si trova qualcuno che lo certifica come normale terra da scavo, lo si sotterra in qualche buco lasciato da cave di ghiaia – ce ne sono moltissime lungo i fiumi – si ricopre tutto. “Tranquillo, chi cazzo vuoi che vada a vedere!” come si diceva in una telefonata intercettata dagli inquirenti tra due indagati.
I Ruberto di Tortona finiscono spesso sulle pagine della cronaca. Nel 2007 Francesco sfugge a un killer che lo aspetta sotto casa a Monbisaggio, vicino a Tortona, e che gli spara contro vari colpi di pistola ma riesce solo a ferirlo. Nel 2014 il Tribunale di Alessandria riconosce a Francesco Ruberto la qualifica di “persona socialmente pericolosa” e lo sottopone a sorveglianza speciale e obbligo di soggiorno Tortona. Motivo del provvedimento, la vicinanza dell’imprenditore a esponenti della ’ndrangheta quali Aldo Gaglianò, Antonio Ditto e Carmine Verterame.
Lungo l’elenco delle persone coinvolte, tra cui spiccano Giorgio e Alberto Franzosi, imprenditori tortonesi titolari Franzosi Cave di Tortona e della Franzosi Ambiente di Voghera, proprietari della cava Viscarda di Sale, uno dei siti sequestrati dove sono stati trovati i veleni sotterrati; Patrizia Guarnieri, di Tortona, moglie di Francesco Ruberto e legale rappresentante della Edildertona di Tortona.
Nei guai anche Marco Carazza, procuratore della CoopSette, impresa di Reggio Emilia che ha costruito il centro benessere Bellavita a Spinetta, dove hanno operato anche le ditte di Ruberto
Finiscono nell’inchiesta anche aziende di Novi Ligure e dintorni: la Lavagetti autotrasporti, di Claudia e Roberto Lavagetti, che avrebbero trasportato le terre da scavo. Analogo ruolo per Giorgio Perasso e il figlio Christian, di Arquata Scrivia, titolari di una ditta di trasporti.
Ruolo importante per un laboratorio di analisi novese, la Biogest con sede in via San Giovanni Bosco e laboratori al Cipian, che avrebbe condotto le analisi sulle terre certificandole come non inquinate. Secondo le accuse, la Biogest non sarebbe neppure stata in possesso della attrezzature necessarie per condurre le analisi.
Altro nome noto che finisce nell’inchiesta è quello Gino Mamone, titolare del “colosso delle bonifiche” la ditta genovese Ecoge al centro di tante inchieste.
Nell’inchiesta spuntano anche il Cociv e il Terzo Valico ferroviario: Valerio Bonanno, titolare della Sap di Spinetta Marengo, ha una commessa di 700 mila euro da Cociv per la gestione delle terre da scavo. Ma per la direzione antimafia Bonanno è solo un prestanome della ’ndrangheta.
Il procedimento giudiziario è in corso, quindi per tutte le persone citate vale la presunzione d’innocenza, e anche l’augurio.
In attesa della conclusione dell’iter giudiziario, possiamo cominciare a tirare qualche somma. Il primo dato evidente è che lo smaltimento illecito dei rifiuti non è un ricordo degli anni ’80 (vedi Ecolibarna) ma è un settore di attività (illecita) ancora fiorente.
Il secondo è che i collegamenti tra organizzazione malavitose quali la ’ndrangheta e il tessuto imprenditoriale locale sono ormai innegabili.
Terzo, ma non ultimo in ordine di importanza, è che i lavori del Terzo Valico portano terre da smaltire e un ingente giro di finanziamenti. Anzi, questo ultimo punto, sommato ai due precedenti, deve farci tenera molto alta l’attenzione.