Scarsi: “il Pd si gioca tutto sul referendum costituzionale
Intervista a Fabio Scarsi, neo-eletto segretario provinciale del Pd dopo le dimissioni di Claudio Scaglia. "La riforma costituzionale è il simbolo del cambiamento auspicato dagli elettori: è quel cambio di verso che ha portato all'affermazione di Matteo Renzi"
Intervista a Fabio Scarsi, neo-eletto segretario provinciale del Pd dopo le dimissioni di Claudio Scaglia. "La riforma costituzionale è il simbolo del cambiamento auspicato dagli elettori: è quel ?cambio di verso? che ha portato all'affermazione di Matteo Renzi"
Claudio Scaglia aveva assunto il ruolo di segretario un anno e mezzo fa, sostituendo il suo predecessore Mimmo Ravetti, che a sua volta si era dimesso perché eletto consigliere regionale. Pochi giorni fa l’annuncio delle dimissioni di Scaglia, a causa di impegni di lavoro e personali.
Lunedì scorso l’assemblea provinciale del Pd ha ratificato le dimissioni e ha indicato come nuovo segretario Scarsi.
Renziano della prima ora e riferimento provinciale dei “renziani”, 50enne, commercialista, separato e padre di una figlia, Fabio Scarsi nel 2010 si candidò segretario provinciale contro Daniele Borioli, anche lui poi dimessosi per l’elezione a senatore.
Lo abbiamo incontrato fresco di nomina.
Che succede nel PD provinciale?
Scaglia si è dimesso per motivi di lavoro e di famiglia, e nel partito si è ritenuto di chiedere a chi da lungo tempo coordina l’area cosiddetta “renziana” la disponibilità a sostituire il segretario uscente. Per me è un grande onere, ma anche un onore e l’opportunità di cercare di dare un contributo in prima persona.
Quali saranno le principali direttrici politiche della nuova segreteria?
Si tratterà di un mandato relativamente breve, fino al prossimo congresso nel 2017. Vedo come priorità un problema di gioventù del PD: manca ancora la capacità di gestire il pluralismo interno. E’ normale un’ampia articolazione di posizioni all’interno dei grandi partiti, ma queste devono essere adeguatamente organizzate, avendo ovviamente come metodo fisiologico di definizione degli orientamenti politici, il principio maggioritario.
Insomma, le correnti interne sono un problema?
Credo sia evidente che da questo punto di vista il PD ha delle difficoltà: il pluralismo interno degenera in contrapposizioni che rendono difficile il funzionamento del partito. A livello nazionale c’è un’incapacità di mantenere un sereno equilibrio coerente con gli esiti congressuali, e al posto dell’ordinaria dialettica che potremmo aspettarci, si assiste spesso ad un conflitto che talvolta, piuttosto che un avversario, sembra sottendere un nemico e il tentativo di un suo annichilamento.
Questo succede anche a livello provinciale?
Non precisamente: ai livelli territoriali c’è spesso una sostanziale sospensione del dibattito interno al partito; le posizioni si cristallizzano per evitare confronti. Mentre al livello nazionale una linea esiste anche se contestata in radice dalle opposizioni interne, al livello territoriale l’esito è forse ancora peggiore: per evitare la conflittualità, il gruppo dirigente evita l’elaborazione di posizioni politiche per timore che diventino terreno di scontro
Un bel problema: come se ne esce?
Dobbiamo compiere un processo di maturazione che dovrà per forza passare attraverso la realizzazione di un metodo, che ci consenta di coinvolgere tutti i soggetti interessati con un processo che garantisca la massima partecipazione e che dia modo di elaborare linee programmatiche sui principali temi locali.
In effetti, il partito appare spesso diviso tra chi sostiene Renzi e chi no…
Per quanto riguarda i grandi temi di respiro nazionale, c’è in effetti un po’ di ambiguità. Dobbiamo garantire il dibattito interno, ma anche essere coerenti rispetto all’azione del PD nazionale e del
Governo che sosteniamo. Altrimenti generiamo solo confusione negli iscritti e negli elettori…
Sul fronte dell’organizzazione interna?
E’ un tema complesso: il modello di partito sui cui ancora ci basiamo è nato e si è sviluppato 60 anni fa e oggi è divenuto inadeguato perché sono completamente saltate le condizioni di partecipazione e di vincolo ideologico di un periodo storico ormai superato da tempo. Non esiste più la partecipazione di massa indefessa e acritica tipica del PCI, in favore di una partecipazione, spesso entusiasta, ma più selettiva e critica. E’ con questa situazione che ci dobbiamo confrontare.
Il 5 giugno 21 comuni della nostra provincia andranno al voto. Non si tratta di grandi centri, il pd si defila o si mette in campo?
Siamo sicuramente in campo: il processo di ricomposizione che abbiamo deciso vuole recuperare la capacità del partito di agire in modo unitario sul territorio, a tutti i livelli.
A ottobre c’è la prova del fuoco per Renzi e per il pd con il referendum costituzionale. Vi giocate tutto?
Ad ottobre il PD si gioca la propria credibilità come forza riformista. La riforma costituzionale è il simbolo del cambiamento auspicato dagli elettori: è quel “cambio di verso” che ha portato all’affermazione di Matteo Renzi. Per questo, sì, ci giochiamo tutto. Dovremo essere compatti nel sostenere le ragioni del si: dopo decenni di parole, si tratta di un’occasione troppo importante per il paese.
Compatti? Non mi sembra che tutti gli esponenti locali del pd siano convinti della bontà della riforma costituzionale: libertà di coscienza o si serrano le file?
C’è stato tempo per i dubbi, i dibattiti e le mediazioni: ora è il tempo della realizzazione. Il percorso fatto dalle camere è stato lungo ma alla fine si è raggiunto un equilibro di buona qualità soprattutto sui punti irrinunciabili. Anche la minoranza interna del PD su alcuni punti ha ottenuto importanti modifiche, che ha rivendicato come grandi successi. Il disegno di legge di riforma costituzionale non è perfetto, ma è quanto di meglio si potesse ottenere con gli equilibri politici in essere in parlamento e soprattutto è un grande passo in avanti rispetto ad alcune criticità dell’attuale assetto istituzionale. Non possiamo a questo punto avere incertezze…