Referendum costituzionale, Muliere aderisce al Comitato dei sindaci per il sì
Ottima partecipazione all'iniziativa del comitato novese basta un sì che sostiene il referendum costituzionale sulla riforma voluta dal governo presieduto da Matteo Renzi. A illustrare i contenuti della riforma il senatore Vannino Chiti, con il segretario provinciale del Pd Fabio Scarsi, il portavoce novese del comitato Matteo Morando e il sindaco di Novi Rocchino Muliere
Ottima partecipazione all'iniziativa del comitato novese ?basta un sì? che sostiene il referendum costituzionale sulla riforma voluta dal governo presieduto da Matteo Renzi. A illustrare i contenuti della riforma il senatore Vannino Chiti, con il segretario provinciale del Pd Fabio Scarsi, il portavoce novese del comitato Matteo Morando e il sindaco di Novi Rocchino Muliere
A illustrare i contenuti della riforma il senatore Vannino Chiti [in foto], con il segretario provinciale del Pd Fabio Scarsi, il portavoce novese del comitato Matteo Morando e il sindaco di Novi Rocchino Muliere.
Alla riunione, convocata presso il circolo Ilva, hanno preso parte anche il senatore Borioli e il consigliere regionale Ravetti. Presenti anche numerosi consiglieri comunali del Pd e il vicesindaco Broda.
L’incontro si è aperto con un minuto di silenzio in memoria del presidente Ciampi, deceduto nella stessa giornata.
“Il referendum costituzionale è un’occasione straordinaria per il futuro del nostro paese”, ha detto il sindaco Muliere. “Il tema non è se vince o perde Renzi, ma se riusciamo a superare il bicameralismo perfetto. Chi come me ha una lunga militanza politica, sa che già nel Pci sostenevamo che non aveva più senso avere due camere con identici poteri e prerogative. Purtroppo, la discussione che sta avvenendo nel paese non è quasi mai sul merito della riforma, ma su posizioni tattiche relative alla opposizione al governo Renzi”.
“La mia posizione sul tema del referendum è molto chiara: sono assolutamente a favore della riforma costituzionale. Tanto che ho deciso di aderire al movimento dei “sindaci per il sì”. ha concluso Muliere.
A spiegare le ragioni della riforma e i suoi punti fondamentali è intervenuto Vannino Chiti, senatore della Repubblica e ministro delle riforme costituzionali nel secondo governo Prodi.
“La decisione finale, non dimentichiamocelo, spetta ai cittadini italiani. Questa è la più grande garanzia democratica che ci viene offerta dal passaggio referendario. Già all’intenro dell’assemblea costituiente ci fu chi, come Piero Calamandrei, sosteneva che camera e senato non avrebbero dovuto avere le stesse funzioni. Non è quindi una discussione nuova… “
Il senatore Chiti ha ricordato come in nessuno Stato europeo la fiducia al governo deve essere data da entrambe le camere, ma solo in Italia.
“C’è chi dice che non c’è continuità tra questa proposta e il percorso precedente. Ma nelle proposte presentate nel 1996 nel programma dell’Ulivo – scritto da Prodi, D’alema e Veltroni – si diceva che il senato avrebbe dovuto essere trasformato in una camera delle regioni, composta da amministratori locali. Questa camera delle regioni avrebbe avuto poteri diversi dalla camera dei deputati e competenza solo sulle leggi di riforma costituzionale o sulle regioni. La riforma proposta nel 1996 era molto più forte, tutto sommato, di quella di oggi”.
Chiti, da buon toscano, ha parlato schietto a chi, all’interno del Pd, sta lavorando per il No. “E’ ovvio che ogni cittadino, anche se iscritto al Pd, anche se né è senatore o deputato, ha il pieno di diritto di votare come meglio ritiene al referendum. Ma un conto è esercitare il proprio giusto diritto di libertà di coscienza, un conto è costituire, all’interno del Pd, dei comitati per il No. La decisione è stata presa dopo lunghi dibattiti e la riforma costituzionale è la riforma del Pd, quello che sta succendendo è che c’è chi sta costituendo un partito dentro il partito. Questo non è ammissibile. C’è chi addirittura in parlamento ha votato a favore della riforma, ed ora si schiera a favore del no. Trovo sbagliato che un senatore o un deputato non portino avanti le loro battaglie in parlamento, ma fuori”.