La lunga storia della ferrovia Novi-Ovada
La Carosa du Diau che univa Novi a Ovada, in servizio dal 1881 al 1952, ha rappresentato un'occasione di sviluppo per tutta la Val d'Orba. Ripercorriamo la sua storia: dal travagliato inizio, alle vicessitudini della guerra, alla nuova vita delle littorine in Yugoslavia
La Carosa du Diau che univa Novi a Ovada, in servizio dal 1881 al 1952, ha rappresentato un'occasione di sviluppo per tutta la Val d'Orba. Ripercorriamo la sua storia: dal travagliato inizio, alle vicessitudini della guerra, alla nuova vita delle littorine in Yugoslavia
L’idea di realizzare una ferrovia Novi Ovada, fu innescata dall’attivazione della ferrovia Torino – Genova. Già dal 1855, un gruppo promotore ovadese e rappresentanti della Valle d’Orba, propose al sindaco di quella città, la costruzione di una tramvia a cavalli Ovada – Novi sul lato destro dell’Orba.
Ma nel 1859 si era ancora al nulla di fatto, lo stimolo fu dato dalla ventilata possibilità che lo stesso tipo di trasporto venisse attuato da una linea Ovada – Alessandria; questo fece scattare le contromisure: il consiglio comunale di Novi si riunì d’urgenza per valutare gli eventuali danni all’economia novese, a causa dell’attuazione del progetto concorrente.
Una dettagliata relazione dell’ingegner Cattaneo fu inviata al consiglio provinciale di Alessandria, ne seguirono altre, ma tutto il progetto sembrò in pericolo quando la camera di commercio e delle arti di Genova si dichiarò propensa a favorire una linea strategico–militare Genova – Ovada – Alessandria.
Ricordiamo che l’Italia in quegli anni faceva parte della Triplice Alleanza con Austria e Germania; l’obiettivo strategico era difendere la costa ligure da eventuali attacchi francesi; furono costruite fortificazioni sulle Alpi occidentali e sulla riviera, dalla Maddalena a La Spezia, ed è ovvio che le ferrovie costruite in quel periodo, servissero a collegare, oltre che commercialmente, anche militarmente la Liguria con la pianura.
Nel frattempo si manifestarono posizioni all’opera anche dall’opinione pubblica; un’ingegnere abitante in Val d’Orba, diramò: “Osservazioni sul nuovo progetto di una strada ferrata Novi – Ovada”. Nello scritto si criticavano i piani e si ingigantivano i problemi ed i pericoli rappresentati da vaporiere avanzanti, per persone animali e veicoli.
Nonostante tutto il piano fu presentato e la banca “Iride” di Ovada propose un piano finanziario che prevedeva un impegno di 7.000 lire a chilometro per i comuni interessati, nei confronti dell’imprenditore.
Comunque, imprevisti e contrattempi, fecero ritardare ulteriormente l’inizio dei lavori, ma finalmente, nel 1880 il comitato organizzatore nominò un consiglio di amministrazione, alla cui presidenza venne eletto l’Ingegner Michele Oddini. Ci furono ancora alcuni grattacapi, tra i quali il dubbio sollevato da molti novesi che al passaggio dei convogli nella piazza del mercato (attuale Piazza Falcone e Borsellino) si creassero situazioni di pericolo, ma finalmente, il 19 dicembre 1880, fu firmato il decreto ministeriale che accoglieva la domanda dell’ingegner Boffa.
Il mito delle Ferrovie della Val d’Orba parve allora realizzarsi; la stampa locale si appassionò all’impresa, lodando l’operato dei deputati Ferrari e Raggio, e del Cavalier Oddini. Sotto la direzione dell’ingegner Della Beffa, i lavori vennero eseguiti con celerità, e il 2 ottobre 1881, la ferrovia fu inaugurata. Il passaggio del treno fu salutato dalla folla acclamante. Dalla prima riunione del 1855 erano passati ben 26 anni!
Sull’onda emotiva del successo, che per i novesi quel mezzo rimarrà “u tranvai c-u va a Uvòda”, anche Frugarolo, Bosco Marengo e Fresonara vollero la loro ferrovia. Doveva inserirsi a Basaluzzo sulla Novi – Ovada. Questa seconda impresa risultò più facile, e in un ciclo di cinque anni, la linea fu inaugurata. La prima riunione a riguardo si ebbe in Bosco Marengo nel 1882.
Là convennero i sindaci dei territori interessati e ascoltarono un’ampia relazione del sindaco di Bosco, nella quale lo stesso si impegnò a nome del comune, a versare per trent’anni un contributo di 4.500 lire all’anno per la costruzione e la gestione della linea. Ma i tempi non erano ancora mauri per questa realizzazione e bisognò attendere il 5 febbraio 1885 per tornare a discutere il progetto della tramvia. Dopo diversi contrattempi, la strada fu spianata, ma solo il 25 novembre 1885 venne firmato il contratto per l’inizio dei lavori; la linea ferroviaria fu pronta per l’inaugurazione alla festa di San Pio V, il 5 maggio 1887.
25 all’ora, che velocità!
La tramvia Novi – Ovada aveva una lunghezza complessiva di 23,227 km, di cui 7 in sede propria. A Novi Ligure era presente un binario di raccordo lungo 400 m con la stazione della Rete Mediterranea (dal 1905 Ferrovie dello Stato) per l’inoltro dei carri merci in servizio cumulativo.
Il percorso, che si snodava in prevalenza lungo la valle del fiume Orba, prevedeva 4 stazioni e 12 fermate facoltative, in alcuni casi relativamente distanti dagli omonimi centri abitati posti sulle colline; il regime di circolazione, ovvero il sistema di comunicazione tra le varie stazioni per la movimentazione dei treni, era espletato semplicemente con il telegrafo e non vi era segnalamento di sicurezza, per via delle ridotte velocità dei convogli e del basso numero di treni nel percorso; l’armamento era costituito da rotaie di tipo Vignole (ovvero rotaie di tipo normale) con l’apposizione di due controrotaie nei tratti in sede promiscua con la strada.
Diversa situazione per la diramazione Basaluzzo – Frugarolo: lunga circa 8 km era tutta in sede propria, realizzando un terrapieno che correva a fianco alla strada (a tutt’oggi esistente); a Frugarolo la linea era raccordata con la stazione delle FS.
La velocità media dei treni fino agli anni ’30 era di circa 25 km/h, con tempi di percorrenza di 80 minuti sulla Novi – Ovada e di 30 minuti sulla Basaluzzo – Frugarolo. Solo dopo massicci rinnovamenti delle infrastrutture, ma soprattutto con l’acquisto di nuovo materiale rotabile, i tempi di percorrenza calarono drasticamente.
Ma il record di lentezza, mai superato in più di settant’anni di attività, fu battuto proprio negli ultimi dieci anni di funzionamento. Infatti nell’anno 1946 il treno, partito da Novi alle 18,45 del 23 gennaio non giunse in Ovada che l’indomani sera, dopo ben 24 ore di fortunoso viaggio sotto la neve, con soste, ritorni, spinte dei viaggiatori e loro relative proteste, sicchè ne venne anche fuori una polemica sull’allora appena risorto ‘Corriere dell’ Orba e dello Stura’, che intitolò il suo articolo: ‘Record di velocità conquistato dalla Ferrovia Val d’ Orba – Ovada – Novi (Km. 23): 24 ore’.
La ferrovia non ha da segnalare fatti di rilievo fino all’inizio della Prima Guerra Mondiale; durante la stessa i capannoni adibiti al ricovero locomotive vennero requisiti dall’ autorità militare e adibiti a deposito di grano e combustibili. La maestranza era comandata da un Capitano, dal Tenente Bertone di Novi e da un Sottotenente.
Nel febbraio del 1934, causa ghiaccio, il treno deragliò poco dopo la partenza da Capriata verso Basaluzzo; un cronista dell’ “Illustrazione del Popolo” scrisse: “Uno degli ultimi Gamba di Legno del tranvai Novi – Ovada è uscito dai binari, la capricciosa locomotiva ha attraversato la strada e si è sdraiata su un campo”.
Sempre nel 1934, proveniente da Basaluzzo, in un tratto di linea in discesa, il convogliò cominciò a prendere velocità e i viaggiatori, da prima meravigliati e felici per il fatto inusuale, cominciarono a preoccuparsi giustamente, infatti ormai nei pressi del ponte sul Lemme, dove con una ben studiata curvatura, il binario deviava a sinistra, la locomotiva uscì dalle rotaie, si sganciò dal resto del convoglio per il contraccolpo, sfondando il parapetto. La macchina rimase sospesa nel vuoto per un attimo, poi precipitò nel fiume, per un vero miracolo non ci furono vittime; ci fu un solo commento tramandato ai posteri, di uno dei macchinisti che ne uscì (miracolosamente) con il naso rotto: “Se a savàiva che ti gh’avaivi sàighe, an fermòva prima!” (Se avevi sete ci fermavamo prima!).
Il 25 agosto del 1937 il tranvai investì un camion carico di farina davanti all’Hotel Novi (oggi tra Piazza Falcone e Borsellino e Via Pietro Isola. Il camion, proveniente da Pozzolo, versò gran parte del carico lungo la strada, coprendola di bianco come una nevicata fuori stagione, tant’è che un passante commentò “An bàsta àa nàive anche d’invernu!”.
Il 13 agosto 1935 il drammatico crollo della diga di Molare semino scempio e morte. Anche la ferrovia val D’orba venen pesantente danneggiata.
Ma che belle le littorine. Avevamo già detto quanto il materiale rotabile fosse ormai obsoleto e non in grado di tenere il passo con i tempi, soprattutto per le basse velocità di esercizio, per cui urgeva un rinnovamento del parco mezzi. Per interessamento del marchese Cattaneo, allora direttore dell’ILVA, la linea fu potenziata per un servizio rapido con l’adozione delle cosiddette “Littorine”.
Fino agli anni ’30 il materiale rotabile della linea era costituito da 3 locomotive di tipo tranviario, soprannominate “Gamba de Legn” (per via del ridotto passo degli assi) costruite dalla tedesca “Henschel & Sonn” e dalla belga “Tubize”, chiamate con i nomi societari “Lemme”, “Novi” e “Ovada”, e da diverse carrozze e carri; con l’avvento del rinnovamento della rete, la società FVO (Ferrovia Valle d’Orba) acquisì altre 2 locomotive “Tubize” direttamente dalle TIP, Tramvie Interprovinciali Padane (società tramviaria che operava nelle zone di Milano e Magenta), nonché di una locomotiva appartenente al gruppo T3 (locomotiva ferroviaria a tre assi accoppiati di costruzione tedesca), acquisita dalla società Greco di Reggio Emilia; utilizzata per i treni più pesanti, ed immatricolata con il numero “25”, rimase in servizio come mezzo di manovra nel raccordo Italsider fino agli anni ’60.
Ma la vera novità apparve in una solenne, quanto mai propagandistica, cerimonia il 21 aprile 1940: si trattò di 5 nuove automotrici a nafta di costruzione FIAT, la famose “Littorine”. Tali veicoli, costituivano la versione 045 di tale modello, allora ben diffuso, e costarono 415.200 lire ciascuna; la velocità massima era di 65 km/h e la capacità di 58 posti a sedere; curiosamente, le automotrici FVO furono le uniche, fra tutti i tipi consegnati ad imprese ferroviarie italiane, ad adottare il terzo faro anteriore all’altezza dell’imperiale. Dotate di una elegante livrea argento e bordeaux, con le “Littorine” si riuscì a ridurre drasticamente i tempi di percorrenza, diminuendoli a 40 minuti.
La seconda guerra mondiale non risparmiò la nostra piccola ferrovia. L’8 luglio del 1944, durante il grande bombardamento di Novi, la stazione della tramvia venne quasi distrutta. Nel pomeriggio del 24 dicembre 1944, il partigiano Osvaldo Capurro, detto “Stevens”, a Basaluzzo salì sul tranvai diretto a Basaluzzo. Nel passare da uno scompartimento all’altro, venne scorto da un tedesco. I due armati spararono contemporaneamente, il tedesco fu ferito mortalmente e “Stevens” cadde fulminato.
Il corpo del partigiano, gettato giù dal tranvai, rimase a lungo sul margine della strada, a 150 metri circa dalla stazioncina del bivio per Predosa, chiamata “Iride”.
Quattro giorni dopo, alle 15:48, caccia bombardieri alleati mitragliarono il trenino proveniente da Frugarolo, tra Sant’Antonio e Cascina Michelina, provocando l’incendio di una vettura, uccidendo alcuni viaggiatori e ferendone altri. La sera del 20 marzo 1945, un convoglio militare tedesco, composto da 20 carri pianali, sui quali erano caricati carri armati, automezzi e personale, percorse la ferrovia fino a Novi Ligure, in quanto i partigiani avevano interrotto la linea Ovada – Alessandria. Trainato da una locomotiva delle FS, il treno, lentamente percorse l’itinerario, scortato da personale delle SS e delle Brigate Nere. Si odorava già aria di 25 aprile, per cui i tedeschi preparavano la ritirata.
Finisce un’epoca
A guerra finita, il servizio tranviario riprese lentamente. Nel frattempo si stavano diffondendo i servizi automobilistici, con orari più agibili e percorsi più rapidi; la SAA (Società Autolinee Alessandrine), inaugurò le sue prime linee con veicoli automobilistici, chiamati dalla popolazione locale “à lìsandréina”; la piccola ferrovia arrivò al suo epilogo.
L’obsolescenza dei materiali, la scarsa manutenzione dell’infrastruttura, nonché l’elevata pericolosità del percorso ferroviario su sede stradale, fecero accelerare il pretesto per la chiusura della linea; difatti, sul giornale novese “Il Corriere del Sabato” del 1° giugno 1952, in prima pagina fu pubblicato un articolo con un titolo a caratteri più neri che mai, che annunciò “E’ morta la ferrovia Val d’Orba”, poi di seguito: “Come il vecchio giornale La Società annunciò trionfalmente la realizzazione della Novi – Ovada, Il Corriere del Sabato oggi ha il triste compito di annunciare la cessazione dell’esercizio della ferrovia Val d’Orba”.
La soppressione della rete della FVO avvenne in due fasi: il 1° gennaio 1948, nella breve antenna Basaluzzo – Frugarolo, il pennacchio di vapore della “caffettiera” (come venivano chiamate le piccole locomotive) cessò la sua attività per sempre; mentre per la Novi – Ovada il colpo d’ascia avvenne il 5 maggio 1953.
La fede nel progresso, che si era realizzata con la realizzazione della vecchia linea tramviaria, era stata smentita dal progresso stesso, esattamente 72 anni dopo.
Le littorine vanno in Yugoslavia
Dopo la chiusura della tramvia, il destino delle infrastrutture e dei rotabili si presentò molto diversificata. La piccole locomotive “Gamba de Legn” vennero immediatamente radiate e del loro destino si seppe ben poco, ma non fu dei più rosei. Invece le moderne “Littorine” FIAT ebbero una seconda vita: acquistate dalle Ferrovie Jugoslave, come riparazione danni di guerra, espletarono un dignitoso servizio locale sulle impervie linee tra Nova Gorica, Sezana e Lubiana, facendone evidenziare le ottime prestazioni; reimmatricolate con la sigla “Vmot 881” restarono in servizio per parecchi anni, venendo poi radiate tra il 1967 ed il 1970. Come già detto in precedenza, la locomotiva “25” rimase in servizio nel raccordo Italsider per parecchi anni; per gli appassionati, lo stesso modello di locomotiva era in servizio presso la società Emilio Astengo, come servizio di manovra e smistamento nel Porto di Savona.
Riguardo all’infrastruttura (ponti, stazioni, ecc …) oggi è rimasto molto poco, e quel poco potrebbe essere riconoscibile solo da qualche “occhio esperto” oppure da chi ha vissuto durante gli anni di esercizio. Riconoscibile è il marciapiede al servizio della cascina Michelina, tra Novi e Sant’Antonio; il piccolo fabbricato della stazione di Sant’Antonio è in ottimo stato di conservazione, ora adibito ad attività commerciale: da notare, al centro dell’edificio, l’insegna originaria della località; tracce più evidenti sono presenti a Basaluzzo: a delimitare vecchio piazzale della stazione (di fronte alla piazza del mercato), oggi sede di un autolavaggio, si nota ancora la vecchia staccionata di tipo ferroviario, mentre il fabbricato della stazione è oggi sede di un bar, chiamato per l’appunto fino a qualche anno fa, “Bar Stazione”.
Le tracce dell’antenna Basaluzzo – Frugarolo sono ancora molto visibili: il terrapieno della linea è ancora in piedi su tutta la lunghezza del tracciato, come sono ancora integri alcuni ponti (anche se nascosti tra la vegetazione); altre tracce di ferrovia si notano anche con i toponimi: a Bosco Marengo è presente una strada comunale denominata “Via Tranvai”.
Oltre a un breve tratto di ferrovia visibile poco prima di Tagliolo Monferrato (in località Caraffa), emblematici sono gli edifici del deposito e della stazione di Ovada; il primo, ben identificabile all’ingresso della città venendo da Novi, è oggi adibito ad autorimessa per gli autobus della ARFEA; la stazione terminale è il famoso bar di Piazza Castello, e molti ovadesi (anziani ma anche meno anziani) ne conoscono perfettamente la storia.
Un piccolo treno, un grande servizio
E qui finisce la storia, iniziata molti anni fa, di un piccolo treno sì, ma che ha significato per le nostre terre un grande passo in avanti in un futuro più dinamico e moderno, ma è stato anche la fine di un isolamento delle nostre valli, la possibilità di commerci più veloci, ma anche di incontri più frequenti tra gente che si era dovuta separare per lavoro o per le esigenze della vita.
In un periodo in cui il treno era visto come un vero servizio sociale ed economico alla portata di tutti. Poi sono arrivati i mezzi su gomma, le autostrade … ma nel ricordo di chi è rimasto, rimarrà l’immagine di un trenino che attraversava umilmente queste terre, servendo tutti e senza chiedere troppo … solo un po’ di pazienza.