Chiare, dolci, fresche acque… pubbliche
Dal captazione nei pozzi, alla distribuzione delle nostre case, alla raccolta nelle fogne, alla depurazione. Un viaggio alla scoperta nel ciclo dell'acqua, com'era e com'è oggi.
Dal captazione nei pozzi, alla distribuzione delle nostre case, alla raccolta nelle fogne, alla depurazione. Un viaggio alla scoperta nel ciclo dell'acqua, com'era e com'è oggi.
Abbiamo fatto un viaggio nell’acqua novese, senza bagnarci, dall’inizio alla fine. Dal pozzo, ai tubi, ai nostri rubinetti, ai collettori fognari, al depuratore, per poi tornare nell’ambiente. Un giro lungo e sconosciuto, che parte da lontano.
Facciamo prima un po’ di storia: un tempo a Novi c’erano parecchi rii. Il rio Gazzo, che arrivava da via san Giovanni Bosco, un tempo chiamato borgo delle lavandaie perché vi si andava a lavare i panni, e attraversava il centro di Novi per dirigersi poi verso Pozzolo passando da Castel Gazzo, e quindi proseguire verso Alessandria (dove prende il nome di Rio Lovassina) e gettarsi infine nel Bormida e poi nel Tanaro. C’era il rio Cerchia, che passava dietro le mura del castello. Questi rii un tempo servivano sia per approvvigionare l’acqua della città, che per portare via i rifiuti dei novesi. Ma Novi è una città operosa: nel ‘600 nacquero le filande, che producevano una infinità di liquami che finivano nei rii della città, che divennero delle maleodoranti fogne a cielo aperto. Nell’800 i rii vennero coperti, e da allora passano ancora per la città, ma sottoterra, e pochi novesi ormai sanno ancora dire dove passino, interrati, intubati, ma ancora presenti.
Se il problema della puzza era risolto, restava quello dell’acqua. Per avere acqua fresca i novesi si rivalsero sugli inglesi, facendosi costruire la “fontana del sale”, che ancora oggi fa bella mostra di sé in piazza Dellepiane.
Il 25 aprile 1814 gli inglesi, comandati da Lord Bentinck, occuparono la nostra città, e si presero quello che gli serviva. In particolare, svuotarono il magazzino del sale, in borgo Cavanna. Già che c’erano, svuotarono anche il magazzino del tabacco.
Finita la guerra, i novesi andarono a chieder conto agli inglesi, e ottennero un donazione con cui ammodernarono l’acquedotto cittadino e costruirono la fontana che tutti conosciamo, che ancora oggi si chiama appunto fontana del sale, ma che forse avremmo dovuto chiamare “fontana del sale e tabacchi”, visto che gli inglesi si erano presi anche le sigarette.
A dare un vero acquedotto alla nostra città pensò il conte Edilio Raggio, che lo fece costruire e realizzò anche il lago della Lomellina come riserva idrica. Raggio, da buon imprenditore, aveva bisogno dell’acqua per la sua “carbonifera”, dove realizzava le mattonelle di carbone con cui si dava energia a tutti i treni d’Italia.
L’acqua della Minetta e del lago ben presto non bastò più alla città, e vennero realizzati i pozzi sulla Scrivia, in località Bettole, che ancora oggi sono la principale fonte di approvvigionamento idrico della città.
Oggi a gestire gran parte dell’approvvigionamento idrico della nostra zona è Gestione Acqua, che serve ben 60 comuni: da Franconalto, a Masio, a Alluvioni Cambiò.
L’impianto di Bettole resta il cardine del sistema novese. Il padrone di casa qui è Giorgio Bailo, il responsabile dell’impianto, uno di quelli che appoggiano un orecchio sul tubo e ti dicono la portata. Dai pozzi di Bettole arrivano i due terzi dell’acqua che esce dai rubinetti di Novi, e qui si controlla che tutto sia a posto.
Il cuore del sistema è la centrale di telecontrollo, collegata via radio con tutta la rete che fa capo a Gestione Acqua: tanto per capirci, oltre 2000 chilometri di tubature. Da lì, è possibile vedere quanta acqua c’è in un serbatoio ad Alluvioni Cambiò o Masio, controllare come gira una pompa in alta val Borbera, il livello di un serbatoio in val Curone.
L’acqua captata dai pozzi sullo scrivia e quella che arriva dalle falde del basso pieve si mescolano, con quella della val Borbera, e ancora con quella del pozzo verso Gavi. Ogni acqua va trattata a sé: quelle delle falde che arrivano dal basso pieve è perfetta, limpida, mentre quella dei pozzi va filtrata.
«Gestione acqua si appresta a potenziare l’impianto di potabilizzazione di Bettole Novi – ci dice il responsabile del settore investimenti, Fabrizio Dellepiane – per sopperire alle sempre più frequenti criticità dovute ad eventi alluvionali e fenomeni di torbidità talmente elevata da non poter essere efficacemente trattata con l’infrastruttura esistente.»
E resta, aggiungiamo noi, l’incognita dei lavori del terzo valico: non dovrebbero alterare le fonti, ma staremo a vedere.
Una parte dell’acqua, per dar da bere ad Arquata, arriva dalle fonti di Rigoroso. E – sembra incredibile – è ancora attiva la fonte di Borlasca, che scoprirono i romani per servire Libarna.
A Bettole l’acqua viene depurata, disinfettata (con il cloro, ma anche con i raggi ultravioletti) e messa in pressione. Due condotte da 44 centimetri di diametro partono verso Novi, ed un’altra va verso Pozzolo. Per spingere l’acqua in tutta Novi ci sono 4 pompe enormi, e in castello c’è un serbatoio di accumulo che serve per equilibrare la portata.
Novi, da sola, si beve 300 litri al secondo di acqua. Per farsi un’idea, sono quasi 26 milioni di litri al giorno; quanto basta per riempire 13 piscine olimpioniche. Non tutta l’acqua va nelle case: circa la metà va alle aziende, con l’Ilva che ne consuma un’enormità ogni giorno, per raffreddare i suoi impianti.
Il direttore di Gestione Acqua è Vittorio Risso, uno che parla poco ma che parla chiaro: «L’acqua è una risorsa gratuita e tale deve restare, perché è una risorsa naturale. Ma i tubi che la portano delle case non lo sono, così come non la è l’energia elettrica che fa muovere le pompe, e non lo sono tutti gli impianti. Oggi abbiamo un problema enorme di manutenzione degli impianti, e in particolare dei tubi. Al ritmo attuale di investimento, che ci è consentito dall’attuale tariffa, cambieremo l’ultimo tubo tra 180 anni.»
Troppi, perchè i tubi attuali reggano la sfida. Anche perchè in alcuni casi sono ancora in servizio, ad esempio, i vecchi tubi in ferro messi giù ai tempi di Raggio, che hanno già compiuto il secolo.
Uno dei problemi è il rendimento delle condotte: troppa acqua si perde in una rete che in alcuni casi è davvero vecchia. Servirebbero più investimenti, ma per farli occorre alzare la bolletta dei cittadini, e qui il ragionamento si fa spinoso.
«Il Consiglio di amministrazione di Gestione acqua – aggiunge Risso –ha deliberato di verificare la possibilità d’investire nei prossimi 6 anni, ulteriori risorse di quelle già previste, solo per la sostituzione di condotte di distribuzione.»
Ma cosa succede all’acqua una volta che esce dai nostri rubinetti, dai nostri gabinetti, dalle nostre fabbriche?
Una volta finiva così com’era nuovamente nell’ambiente. Poi, alla fine degli anni ’60, il Sindaco di Novi Armando Pagella cominciò a porre il problema. Si arrivò al Consorzio di Bonifica dello Scrivia, guidano da Giorgio Guastoni, e finì la comodità di ributtare l’acqua sporca lì dove la si era presa, pulita. Vennero costruiti gli impianti di depurazione di Cassano e delle acque del Rio Gazzo.
E sì, perchè ancora oggi è il rio ad essere il principale collettore fognario di Novi. Ogni volta che fate la pipì, finisce lì, sappiatelo.
Lì finisce anche l’acqua che raffredda gli altoforni dell’Ilva: l’impianto di depurazione è giusto lì dietro, e qui arriva tutta l’acqua. Sia quella che esce dalle nostre case, che quella piovana. Il Rio Gazzo nasce dietro alla fabbrica Novi, ed è poco più che un rigagnolo di acqua fresca. Dopo aver raccolto tutte le nostre porcherie, si gonfia di acqua torbida, puzzolente, e ci fermiamo qui con la descrizione. Chi vuole farsì un’idea più precisa, vada a vedere.
Al depuratore il padrone di casa è Mauro Bernardotti, uno che ormai la puzza non la sente più di sicuro.
Il primo passaggio che subisce l’acqua è un filtraggio grossolano, per togliere la più grossa. «Una volta, nelle griglie, ho trovato addirittura una parabola satellitare!» ci dice Mauro.
Dopo viene filtrata ancora, per eliminare i solidi: terra portata dall’acqua piovana, ma anche fondi di caffè e altro. Si elimina anche l’olio che galleggia putrido: a quanto pare, sono ancora in molti quelli che svuotano la padella nel lavandino.
Poi si passa a una prima vasca di decantazione, dove si depositano i fanghi più pesanti. Dopo, per fare il lavoro sporco, arriva una forza lavoro enorme e a bassissimo costo. Sono i batteri, miliardi di operai che “digeriscono”, trasformano i residui, e ci ridanno di nuovo dei fanghi che vengono centrifugati e avviati a diventare compost. Dopo una ulteriore sedimentazione e disinfezione, l’acqua torna al Rio Gazzo trasparente e inodore. Non sarà pura e cristallina come acqua di montagna, ma è pulita. Ogni giorno, vengono trattati 40 milioni di litri di acqua.
Di fianco al depuratore, Gestione Acqua sta costruendo un nuovo impianto, con filtri a membrana. Costerà 10 milioni (con contributo della Regione Piemonte al 50%), ma l’acqua sarà ancora più pulita, quasi potabile.
Resta un grosso problema, che forse non risolveremo mai: quello del regime idrico. L’acqua che consumiamo arriva da un bacino idrico, quello della Scrivia, che noi restituiamo ad una altro bacino. Il rio Gazzo, alla fine del suo tormentato percorso, si butta in Bormida. Meglio sarebbe che l’acqua che prendiamo alla Scrivia, gliela rendessimo. Meglio, soprattutto, per chi è posto lungo di noi lungo il suo corso, e meglio per la fauna ittica e non solo.
Ma il Rio fa così da sempre: nasce a breve distanza dalla Scrivia, ma ne fugge lontano. E Novi ha deciso, secoli fa, di usarlo come fogna. Impossibile, oggi, cambiare le cose.