Home
Pittore fiorentino spara per amore e poi si toglie la vita
Dall'archivio del Messaggero di Novi del 1904 la storia di Riccardo Paoletti, pittore trasferitosi a Novi che uccise l'amata
Dall'archivio del Messaggero di Novi del 1904 la storia di Riccardo Paoletti, pittore trasferitosi a Novi che uccise l'amata
NOVI LIGURE – «Cevenini Lina d’anni 19, una avvenente ragazza dagli occhi sentimentali e dal colore pallido, amoreggiava tempo addietro con un giovane biondo, simpatico, certo Paoletti Riccardo d’anni 22, pittore, nato a Firenze»
Questo l’avvio dell’articolo che racconta un gran brutta storia avvenuta a Novi tanto tempo fa, il 16 giugno 1904.
Due anni prima Paoletti si era trasferito a Novi da Firenze, ed aveva trovato impiego come decoratore. Qui non aveva trovato solo il lavoro, ma anche l’amore per Lina, e tra i due giovani era arrivata anche la promessa di matrimonio. Tempo dopo però il giovane dovette tornare a Firenze, e Lina rimase sola. Forse convinta di essere stata abbandonata, prima la ragazza avviò un nuovo rapporto sentimentale con un giovane novese, poi cadde in depressione e tentò il suicidio bevendo acido muriatico. Venne salvata in extremis dalle preziose cure del Dott. Bertoli.
Ritornata alla vita, la ragazza si stabilì alla trattoria della stazione, di proprietà di una sua parente.
Un bel giorno Riccardo fece ritorno a Novi, dopo essere scappato precipitosamente da Firenze per sfuggire ad un mandato di cattura emesso contro di lui per un ferimento in seguito a una rissa al circolo di San marco vecchio. Per prima cosa andò a cercare la sua Lina e la trovò nelal trattoria.
Forse il Paoletti era convinto di ritrovare l’amata ad attenderlo, ma scoprì che Lina Cevenini non voleva più sapere nulla di lui. Seppe anche del nuovo amore, e del tentativo di sucidio.
«Il giovane venne preso dai lacci di quella brutta malattia che si chiama gelosia e l’idea della vendetta lo accecò.»
Il giovane pittore, deciso di vendicarsi, si recò nell’armeria di Cavanna per acquistare una pistola usata, ma non la prese perchè troppo cara per le sue finanze.
Il mattino dopo ne trovò una adatta alle sue tasche nell’armeria Palenzona: un revolver calibro 7 con cui alle 15 si presentò alla trattoria della stazione e salì nella camera della povera Lina.
Gli avventori dell’osteria sentirono 4 colpi in rapida successione e accorsero a vedere cosa fosse successo. Trovarono Lina sul letto, che gridava aiuto, con ferite alla testa. Di fianco a lei, Riccardo con ancora la pistola in mano, che intimò a tutti di scansarsi e fuggì subito, prendendo la direzione per Serravalle.
Ancora una volta fu l’arte medica a salvare Lina: il dottor Negri, subito accorso, constatò che la ragazza era stata colpita due volte alla testa. Un proiettile le aveva trapassato il cranio sopra l’orecchio, ed era fuoriscito da solo, mentre un altro le era rimasto conficcato nel capo. Un terzo proiettile le aveva trapassato la mano, forse alzata nel tentativo di proteggersi. Infine un quarto colpo era andato a vuoto. La povera ragazza venne giudicata guaribile in 20 giorni. Bisogna sottolineare come le novesi dell’inizio del secolo dovevano essere ben robuste: non solo non era bastato l’acido muriatico, ma neppure due colpi di pistola nella testa erano stati sufficenti a vincere la tempra della 19enne.
Dietro al tentato omicida si misero subito i carabineri, a piedi e a cavallo, che verso le 18 lo catturarono in regione Grattarola (potrebbe trattarsi del posto chiamato Grattarina, dietro all’istituto Oneto). Portato in carcere, nella notte Paoletti mise fine alla sua breve esistenza: rotto un vetro della cella, se ne servì per fare a brandelli il lenzuolo della branda e ricavarne delle striscie che legò insieme, fabbricando una corda con cui si impiccò alle sbarre.
A Firenze lo piansero la madre, da poco vedova, e i 5 fratelli. Non ci è dato di sapere che fine fece la giovane (e robusta) Lina Cevenini.
Questo l’avvio dell’articolo che racconta un gran brutta storia avvenuta a Novi tanto tempo fa, il 16 giugno 1904.
Due anni prima Paoletti si era trasferito a Novi da Firenze, ed aveva trovato impiego come decoratore. Qui non aveva trovato solo il lavoro, ma anche l’amore per Lina, e tra i due giovani era arrivata anche la promessa di matrimonio. Tempo dopo però il giovane dovette tornare a Firenze, e Lina rimase sola. Forse convinta di essere stata abbandonata, prima la ragazza avviò un nuovo rapporto sentimentale con un giovane novese, poi cadde in depressione e tentò il suicidio bevendo acido muriatico. Venne salvata in extremis dalle preziose cure del Dott. Bertoli.
Ritornata alla vita, la ragazza si stabilì alla trattoria della stazione, di proprietà di una sua parente.
Un bel giorno Riccardo fece ritorno a Novi, dopo essere scappato precipitosamente da Firenze per sfuggire ad un mandato di cattura emesso contro di lui per un ferimento in seguito a una rissa al circolo di San marco vecchio. Per prima cosa andò a cercare la sua Lina e la trovò nelal trattoria.
Forse il Paoletti era convinto di ritrovare l’amata ad attenderlo, ma scoprì che Lina Cevenini non voleva più sapere nulla di lui. Seppe anche del nuovo amore, e del tentativo di sucidio.
«Il giovane venne preso dai lacci di quella brutta malattia che si chiama gelosia e l’idea della vendetta lo accecò.»
Il giovane pittore, deciso di vendicarsi, si recò nell’armeria di Cavanna per acquistare una pistola usata, ma non la prese perchè troppo cara per le sue finanze.
Il mattino dopo ne trovò una adatta alle sue tasche nell’armeria Palenzona: un revolver calibro 7 con cui alle 15 si presentò alla trattoria della stazione e salì nella camera della povera Lina.
Gli avventori dell’osteria sentirono 4 colpi in rapida successione e accorsero a vedere cosa fosse successo. Trovarono Lina sul letto, che gridava aiuto, con ferite alla testa. Di fianco a lei, Riccardo con ancora la pistola in mano, che intimò a tutti di scansarsi e fuggì subito, prendendo la direzione per Serravalle.
Ancora una volta fu l’arte medica a salvare Lina: il dottor Negri, subito accorso, constatò che la ragazza era stata colpita due volte alla testa. Un proiettile le aveva trapassato il cranio sopra l’orecchio, ed era fuoriscito da solo, mentre un altro le era rimasto conficcato nel capo. Un terzo proiettile le aveva trapassato la mano, forse alzata nel tentativo di proteggersi. Infine un quarto colpo era andato a vuoto. La povera ragazza venne giudicata guaribile in 20 giorni. Bisogna sottolineare come le novesi dell’inizio del secolo dovevano essere ben robuste: non solo non era bastato l’acido muriatico, ma neppure due colpi di pistola nella testa erano stati sufficenti a vincere la tempra della 19enne.
Dietro al tentato omicida si misero subito i carabineri, a piedi e a cavallo, che verso le 18 lo catturarono in regione Grattarola (potrebbe trattarsi del posto chiamato Grattarina, dietro all’istituto Oneto). Portato in carcere, nella notte Paoletti mise fine alla sua breve esistenza: rotto un vetro della cella, se ne servì per fare a brandelli il lenzuolo della branda e ricavarne delle striscie che legò insieme, fabbricando una corda con cui si impiccò alle sbarre.
A Firenze lo piansero la madre, da poco vedova, e i 5 fratelli. Non ci è dato di sapere che fine fece la giovane (e robusta) Lina Cevenini.