La formazione professionale dei giovani garanzia per l’occupazione
É stato recentemente pubblicato il rapporto sul sistema della formazione professionale piemontese redatto dall'Ires per conto della regione Piemonte. Il rapporto propone annualmente unanalisi integrata del sistema formativo piemontese: listruzione, dalla scuola materna alluniversità, e la formazione professionale, con particolare attenzione agli esiti occupazionali di qualificati, diplomati e laureati
É stato recentemente pubblicato il rapporto sul sistema della formazione professionale piemontese redatto dall'Ires per conto della regione Piemonte. Il rapporto propone annualmente un?analisi integrata del sistema formativo piemontese: l?istruzione, dalla scuola materna all?università, e la formazione professionale, con particolare attenzione agli esiti occupazionali di qualificati, diplomati e laureati
In Piemonte, e nella nostra provincia in particolare, il sistema di formazione professionale da sempre è particolarmente forte. A Novi esistono due enti di Formazione professionale, il For.Al. e la Casa di Carità, ente che è presente da sempre anche a Ovada.
Nel 2014/15, anno focus del rapporto, sono stati oltre 13mila i giovani piemontesi che hanno frequentato un corso di istruzione e formazione professionale, pari a circa il 7% degli studenti.
Questi percorsi, programmati dalla Regione Piemonte e realizzati dalle varie agenzie formative, sono divenuti parte integrante dell’ordinamento del secondo ciclo con la Riforma Gelmini nel 2010.
L’offerta formativa si articola in diversi tipi di percorsi al fine di favorire la scolarizzazione degli adolescenti e promuovere un’efficace azione di contrasto all’abbandono. Molto spesso la formazione professionale rappresenta una seconda chanche – di successo – per allievi che hanno provato percorsi di diploma tradizionale con esiti negativi.
L’obbiettivo è ridurre la quota di giovani che non ha titoli scolastici superiori alla licenza media, i cosiddetti “Early school leavers”. Il contenimento di questo indicatore al di sotto del 10% è stato individuato dall’Unione Europea come uno degli obiettivi al 2020 nel settore dell’istruzione e della formazione. In Piemonte la quota di abbandono scolastico si attesta, nel 2015, al 12,6%, in buona posizione rispetto alla media italiana (14,7%). Va sottolineato che la quota di abbandoni scolastici tra i maschi è il doppio che tra le femmine. Le ragazze, quindi, dimostrano senza dubbio di aver più voglia di studiare.
L’indagine sfata anche il mito secondo il quale che le scuole di formazione professionale sarebbero scuole di “serie b”, in cui si studia di meno e si impara quindi di meno. I risultati degli studenti che assolvono l’obbligo scolastico nelle agenzie formative inseriti nelle rilevazioni nazionali Invalsi mostrano livelli di apprendimento in italiano e matematica più elevati dei loro omologhi nelle altre grandi regioni del nord e analoghi a quelli degli studenti degli Istituti professionali piemontesi.
Ma le vere differenze tra il sistema della formazione professionale e il resto del mondo dell’istruzione si evidenziano nel dato cosiddetto di “follow up”: chi frequenta questi corsi ha molta meno difficoltà nella ricerca di una occupazione. Questo perchè le specializzazioni offerte nel sistema della formazione sono più facilmente e velocemente spendibili nel mercato del lavoro, dove continua ad essere forte la richiesta di operatori specializzati nei vari settori collegati all’artigianato e alla piccola e media industria.
Figure introvabili per il mercato del lavoro come il programmatore di macchine a controllo numerico e di sistemi di automazione, il tradizionale tornitore fresatore, il manutentore, escono praticamente solo dal sistema di formazione professionale, e le aziende fanno a gara ad accaparrarsi i più bravi.
Resta il problema dei cosiddetti “neet”, acronimo della sigla inglese “Not in Education, Employment or Training”. In pratica, persone che non lavorano, non studiano, non stanno imparando un mestiere. Quelli che il ministro Padoa Schioppa chiamò bamboccioni, e il ministro Fornero “choosy”, schizzinosi. I neet sono tantissimi, il 31% della popolazione sotto i 29 anni in italia non sta, sostanzialmente, facendo nulla. La quota maggiore di Neet europei si registra proprio in Italia, che in questo batte anche Grecia, Croazia, Romania e Bulgaria. La percentuale più bassa di Neet, invece, si ha nei Paesi Bassi (7,2%) e Lussemburgo (8,8%). Colpa della disoccupazione giovanile, ma se non si trova un lavoro si può sempre studiare, imparare un mestiere. Ad esempio, con un corso di formazione professionale per adulti.