Da Gavi a Galileo: padre Vincenzo da Fiorenzuola, “frate – ingegnere” e inquisitore
Un personaggio come il Fiorenzuola ebbe, nel suo curriculum vitae, anche il ruolo di Commissario Generale della Romana Inquisizione durante il processo a Galileo Galilei: chiediamo al nostro "frate - ingegnere" qualche retroscena
Un personaggio come il Fiorenzuola ebbe, nel suo curriculum vitae, anche il ruolo di Commissario Generale della Romana Inquisizione durante il processo a Galileo Galilei: chiediamo al nostro "frate - ingegnere" qualche retroscena
Da progettista del Forte di Gavi a inquisitore di Galileo Galilei: alla fine un processo ve l’hanno fatto fare.
A papa Urbano VIII Barberini non potevo certo dire di no.
Evitare, perché?
Perché quel testardo di Galilei (peggio dell’architetto Bartolomeo Bianco a Genova) non si era reso conto di essere diventato un caso internazionale. Era in corso la Guerra dei Trent’anni tra i protestanti, appoggiati sottotraccia dal Cristianissimo Re di Francia, e gli Asburgo, alla cui famiglia appartenevano sia il Cattolico Re di Spagna sia il Sacro Romano Imperatore. Galileo, suo malgrado, era diventato oggetto per opposte ragioni della propaganda di entrambi gli schieramenti, e gli Asburgo lo volevano morto.
E il papa?
Quando era cardinale, era amico di Galileo e suo protettore: ma, da papa, Urbano VIII era già finito nel mirino degli Asburgo per le sue simpatie filo-francesi, e sul caso Galileo lo aspettavano al varco. Di fatto, lavorò dietro le quinte.
Come?
Insediò come inquisitore di Galileo me, un costruttore di fortezze, un matematico. Entrambi parlavamo la stessa lingua, quella delle nuove scienze, e potevamo intenderci. Poi, ottenuta l’autorizzazione ad un incontro privato (cosa del tutto al di fuori della procedura del S. Uffizio) gli feci capire che nel suo libro aveva esagerato. Insieme studiammo il modo di salvare capra e cavoli: l’Inquisizione avrebbe salvato la faccia, e con Galileo si sarebbe potuta usare clemenza.
Ma come mai di questo incontro non c’è traccia nelle carte processuali, né in quelle degli archivi della Chiesa?
Sapevo benissimo che perfino la corrispondenza privata del Santo Padre veniva intercettata dalle spie degli Asburgo. Scrissi al cardinale Francesco Barberini, nipote di Urbano VIII: la lettera è ancora nell’archivio privato di questa famiglia.
Ma, alla fine Galileo fu condannato, o no?
Sì, ma non per eresia, per la quale era previsto il rogo. Il 22 giugno 1633, infatti, organizzammo una sceneggiata, quella che voi conoscete come “abiura di Galileo”, che ammise sì di aver insegnato la teoria copernicana, ma riaffermò di essere sempre stato tolemaico: i suoi nemici restarono soddisfatti della sua umiliazione, e Galileo, per aver infranto il divieto di insegnare la teoria copernicana, se la cavò con gli arresti domiciliari.
E voi?
Io me la vidi veramente brutta, perché arrivai a pensare che il S. Uffizio, dopo Galileo, avrebbe messo a processo anche me: fu papa Urbano VIII, in una riunione del S. Uffizio, da lui presieduta il 16 giugno, a dettare la linea di condotta. Io, effettivamente, fui rimosso dall’incarico, ma per diventare cardinale.
Ma che ne pensa di chi, come Bertolt Brecht, la dipinse come il “cattivo” della situazione?
Che dovrebbe andare a rileggersi gli atti del processo, pubblicati nel 1984 a cura di padre Sergio pagano nella raccolta “Collectanea Archivi Vaticani” N°21. Questo volume contiene non solo la trascrizione degli atti come sono tuttora conservati nell’Archivio Segreto Vaticano, ma anche una selezione di altri documenti tratti dagli archivi del S.Uffizio: e questo grazie a Giovanni Paolo II e all’allora cardinale Ratzinger. Ma pubblicare non basta, occorre leggere: e fu Carletto Bergaglio, gaviese, a proporre tra i primi, dopo secoli, la corretta lettura dei fatti.