Francesca Boggeri, da Cabella a Kabul
Osservatore internazionale, è nativa della Val Borbera. Inviata da Onu e Osce a monitorare le elezioni nei luoghi caldi del pianeta, nel 2014 è scampata per miracolo ad un attentato talebano a Kabul.
Osservatore internazionale, è nativa della Val Borbera. Inviata da Onu e Osce a monitorare le elezioni nei luoghi caldi del pianeta, nel 2014 è scampata per miracolo ad un attentato talebano a Kabul.
E’ un mestiere pericoloso, quello di Francesca Boggeri, ma lei ce lo racconta con gli occhi dell’entusiasmo di una ragazza che sa che sta facendo un lavoro da duri, ma che qualcuno deve pur fare. Anche se del duro non ha né la faccia né il fisico, non ne ha l’aspetto, ma ne ha la testa. La testa di quelle donne che non mollano mai, perché lo vedi che c’è tutta la passione per il mondo.
A noi che vediamo il mondo dalla televisione, del suo mestiere capita a volte di sentirne parlare nei notiziari, quando si vota in qualche posto caldo del mondo, dove si fanno difficili prove di democrazia.
Francesca Boggeri è di Cabella Ligure ma in valle la si vede poco, anche se la conoscono in molti. E’ una “ragazza con il trolley”, sempre pronta a partire con un preavviso di poche ore.
Quelli che fanno il suo lavoro si chiamano “osservatori internazionali”: sono delegazioni dell’Onu, dell’Unione Europea, dell’Osce – Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa. Ma a volte anche per la fondazione Jimmy Carter, il cui meravigliosamente semplice motto è “Portare la pace, combattere la malattia, costruire la speranza” fondata dall’ex presidente e premio nobel per la pace.
Francesca Boggeri è “media analyst” e coordina il team che si occupa del monitoraggio dei media. Parliamo di democrazia e di libertà di stampa, in paesi dove un giornalista oggi è al lavoro, e domani è perso in un carcere, senza processo, senza che se ne sappia più nulla.
Incontro Francesca a casa sua, appena tornata da un missione in Nuova Caledonia, uno di quei posti che molti non sanno neppure in che parte del mondo si trovi. Ad Arquata Francesca, quando c’è, gestisce insieme alla sorella Federica un Bed & Breakfast che ha riempito di oggetti portati dalle sue innumerevoli missioni. L’elenco dei luoghi dove Francesca è stata osservatore internazionale è lunghissimo: sul suo passaporto timbri di Nigeria, Bangladesh, Nepal, Rwanda, Colombia, Ecuador, Sudan, Tanzania, Bielorussia, Burundi, Pakistan, Tanzania, Afghanistan, Congo, Uganda, Balcani.
«Una missione dura da due a sei mesi e comincia con la formazione del personale che si occuperà del monitoraggio dei media. Uno dei primi compiti è quello di creare l’“handbook”, un manuale di missione, che esplicita la metodologia dell’intervento».
Francesca si è laureata all’università di Pavia in scienze politiche ad indirizzo internazionale negli anni in cui scendeva in politica, nel nostro paese, il proprietario del più grande gruppo editoriale italiano. L’emergenza era qui da noi, e a Pavia cominciano, nel 1994, a monitorare la presenza di Silvio Berlusconi e degli altri politici in tv e sui giornali. Con un cronometro davanti alla tv, o con un righello a misurare fisicamente lo spazio che i media riservano ai vari politici. La legge sulla par condicio arriverà solo nel 2000, anche grazie ai loro studi.
Un mestiere che può essere pericoloso e dove, come ci racconta Francesca, «i bodyguards sono un presenza costante, e devi sapere che loro hanno la facoltà, in qualunque momento, di prelevarti di peso e portarti al sicuro, senza darti neppure il tempo di chiedergli perché».
Ogni missione è pericolosa. Se vai in una dittatura o comunque in un sistema politico instabile a monitorare una tornata elettorale a rischio brogli, e vai a chiedere alla televisione di stato che spazio dà alle opposizioni, dai fastidio. Come nella Repubblica democratica del Congo, nel 2012, dove «i media di Stato offrivano una visione del tutto parziale, facevano la campagna del presidente. Lo percepivi anche dai jingle e spunti visivi continui tutti a favore di Kabila. Così come la radio Digital Congo di Janet Kabila, sorella del Presidente, autrice di una campagna sfacciatissima. Nei telegiornali, che dovrebbero essere un momento neutro, in cui il cittadino ha diritto a ricevere informazioni, passavano sempre le foto di Kabila sullo sfondo. Niente di sottile o particolarmente sotterraneo, tutto molto alla luce del sole. Anche il direttore della televisione di Stato, quando gli abbiamo chiesto se pensassero di informare i cittadini in modo neutro e equilibrato, ha sgranato gli occhi senza capire la domanda. Il suo ruolo era spiegare quante cose Kabila aveva fatto al governo».
«Ho sentito i colpi e mi sono rifugiata nel bunker dell’albergo, seguendo il protocollo di sicurezza».
Dopo tre ore di scontri, si contano i morti. Il collega di Francesca, il diplomatico paraguaiano Luis Maria Duarte, è morto. Con lui, altre 9 persone tra cui Sardar Ahmad, corrispondente afghano di France Presse, trucidato con tutta la famiglia. I suoi bambini freddati con un colpo in testa.
Alla fine anche i 4 attentatori vengono uccisi dalla polizia.
Basta un attimo, dicevamo. Nel 2008 ci fu un precedente attacco all’Hotel Serena, e vennero uccise sei persone, in palestra.
«Sono stata 10 ore nel bunker, fino a che non sono venuti a liberarci. Quando ci hanno evacuati quello che forse non mi scorderò è l’odore del sangue che era schizzato ovunque. Mi ricordava la festa per la fine del ramadan, l’Id al-fitr, che avevo visto a Dhaka in Bangladesh, quando sgozzano per la città i montoni e altri animali e lasciano correre il sangue per le strade.»
L’attentato non toglie neanche un po’ di impegno a Francesca. «E’ il mio lavoro, semplicemente.» Vero, si può morire anche attraversando la strada mentre si va al bar. Il nostro destino, da qualche parte, ci aspetta.
L’entusiasmo per il suo lavoro Francesca Boggeri ce lo trasmette soprattutto quando parla delle persone, che ha incontrato e con cui ha lavorato in Africa, in Asia, in Sudamerica, nel Maghreb, in Europa dell’Est. «Qui da noi a volte purtroppo la percezione degli stranieri è legata a stereotipi. Io in loro rivedo i tanti ragazzi competenti, professionali che con coraggio lottano per cambiare i loro paesi. Il loro idealismo e la loro caparbietà sono la motivazione che mi spinge a fare il mio lavoro anche nei posti piu difficili»
Nell’Italia di oggi, quando sempre meno persone vanno a votare e la sfiducia verso i rappresentanti eletti e i partiti è ai massimi livelli, forse avremmo bisogno anche noi di una “primavera” di impegno, di entusiasmo, di sogno da parte dei nostri giovani e anche dai nostri politici.
Foto:
1 – Nepal – (Katmandou) : Francesca Boggeri con Presidente Jimmy Carter durante l’osservazione delle Elezioni per l’Assemblea Costituente nel 2013 da parte della sua fondazione The Carter Center;
2 – Afghanistan – (Kaboul): Francesca Boggeri e bodyguards in Kaboul con la missione elettorale di supporto dell’OSCE/ODIHR durante le Elezioni Presidenziali e Provinciali del 2014 alcuni giorni prima dell’attacco al Serena Hotel.
3 – Tanzania (Dar- es -Salaam): Francesca Boggeri per conto dell’Unione Europea durante le Elezioni Generali del 2010.