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    Benedetta De Paolis  
    22 Ottobre 2017
    ore
    00:00 Logo Newsguard

    Il dialetto: una riscoperta di Novi e della novesità

    Inventare qualcosa di nuovo partendo dall'antico. Questo l'obiettivo di Gianluigi Bailo, conosciuto notaio novese che da sempre coltiva l'amore per la sua città e che da qualche anno ha deciso di farlo recuperandone il dialetto

    Inventare qualcosa di nuovo partendo dall'antico. Questo l'obiettivo di Gianluigi Bailo, conosciuto notaio novese che da sempre coltiva l'amore per la sua città e che da qualche anno ha deciso di farlo recuperandone il dialetto

    NOVI LIGURE – Inventare qualcosa di nuovo partendo dall’antico. Questo l’obiettivo di Gianluigi Bailo, conosciuto notaio novese che da sempre coltiva l’amore per la sua città e che da qualche anno ha deciso di farlo recuperandone il dialetto. Il dialetto, lingua che può identificare chiaramente chi in una città è nato o ha scelto di vivere, veniva in passato parlato quotidianamente e tramandato di generazione in generazione. Oggi, invece, rischia di essere perduto.

    «Il dialetto è stato per molto tempo l’unico strumento di comunicazione, la lingua materna che si apprendeva dai genitori» spiega Bailo «Quello che mi preme particolarmente è recuperare questo patrimonio e lo vorrei fare coinvolgendo tutti, giovani e meno giovani. Per fare questo ho cercato un modo diverso che permettesse di far rinascere noi novesi, non com’eravamo, ma come siamo e come saremo sempre. Mi preme arrivare a una riscoperta di Novi e della “Nostra Novesità”».

    Il progetto di recupero è nato da conversazioni informali avute da Bailo con i rappresentanti delle associazioni Società Storica del Novese e Centro Studi in Novitate. Si sono proposti inizialmente ai novesi una serie di incontri, dei “salotti” a tema libero dal titolo “E sa faismu duu parole”, che hanno visto riunirsi numerosi concittadini, più o meno conoscitori di questa antica lingua. La sede attuale degli incontri è la galleria Pagetto Arte di Via Girardengo.

    «L’iniziativa ha avuto un ampio seguito, le persone che a Novi parlano dialetto sono tante, molte più di quelle che si possano pensare. Occorre creare per loro dei punti di incontro, delle occasioni di contatto» continua Bailo. Entro la fine del mese di novembre il progetto si tradurrà nel libro “Dialetu, dialetu, dialetu e… sa faismu duu parole”, il cui ricavato andrà in beneficienza alla San Vincenzo, prima Opera di Beneficenza operante a Novi e nel novese. «Il libro, edito da Epoké, vuole essere un mezzo per riunire tutti coloro che vogliono il bene della nostra città, ossia lo sviluppo della nostra cultura, delle tradizioni, del modo di essere e di sentire. Nel libro il lettore troverà personaggi, storielle anche semiserie, proverbi, modi di dire, scioglilingua, credenze popolari di questa nostra terra, figlia un po’ di Genova e della Liguria e un po’ di Milano e della Lombardia. Senza tralasciare le influenze piacentine».

    Per il futuro, poi, il dottor Bailo ha in mente tanti altri progetti: l’attivazione di corsi di dialetto, progetti nelle scuole della città, la creazione di punti di incontro in centro «Una volta si usciva dal lavoro e, prima di tornare a casa, ci si trovava in punti precisi della città. Vorrei che si tornasse a fare questo: individuare dei locali o dei luoghi particolari in cui, a fine giornata, chi lo desidera sa che può trovare qualcuno con cui scambiare quattro chiacchiere, in dialetto ovviamente. La città un tempo era unita e io vorrei ritrovare e recuperare questa unione».

    Il dialetto, quindi, anche come strumento di aggregazione, per far sentire i novesi un tutt’uno con la propria città e rendendoli chiaramente identificabili in ogni dove.

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