The Dors, la perfetta alchimia di quattro personalità
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Carlotta Codogno - c.codogno@ilnovese.info  
18 Marzo 2018
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The Dors, la perfetta alchimia di quattro personalità

«Le nostre esibizioni lasciano spazio a improvvisazioni e interpretazioni originali, secondo lo spirito libero e creativo che ha sempre accompagnato la band californiana». Rispetto alla crisi della musica live rispondono: «Il problema ha un'origine profonda, quella culturale.Chi dice che con la cultura non si mangia si sbaglia di grosso. Le attività culturali, quando ben gestite, creano profitto e posti di lavoro al pari delle classiche imprese economiche»

«Le nostre esibizioni lasciano spazio a improvvisazioni e interpretazioni originali, secondo lo spirito libero e creativo che ha sempre accompagnato la band californiana». Rispetto alla crisi della musica live rispondono: «Il problema ha un'origine profonda, quella culturale.Chi dice che con la cultura non si mangia si sbaglia di grosso. Le attività culturali, quando ben gestite, creano profitto e posti di lavoro al pari delle classiche imprese economiche»

«La formazione del nostro gruppo replica quella originale dei Doors, sia per quanto riguarda il numero dei componenti che i rispettivi strumenti. Il cantante e leader carismatico della band è Marcello Carrozzi. Il tastierista Andrea Manuelli, come il mitico Ray Manzarek, suona contemporaneamente vox continental e tastiera basso. Alla chitarra e ai cori c’è Ivo Bidoggia e alla batteria ci sono io, Michele Carrozzi» così iniziano a raccontarsi i Dors, la band novese nata nel 2013 che si ispira all’iconico gruppo musicale rock statunitense fondato a Los Angeles nel 1965.

Cosa vi ha spinto a formare questa band? «Da ragazzi eravamo affascinati dalla figura di Jim Morrison, poeta visionario prestato al rock. Il simbolismo delle sue liriche, a metà strada fra tragedia greca e psicanalisi freudiana, insieme alla musica dei Doors, un miscuglio tra blues, jazz e psichedelica, ha dato vita a qualcosa di unico, mai ascoltato prima. Riproporre quelle atmosfere non è semplice, non basta saper suonare. È’ necessario sentire e condividere le stesse emozioni, le stesse sensazioni. Credo che nessuno di noi abbia mai pensato seriamente di realizzare questo progetto, almeno fino a quando non ci siamo incontrati tutti e quattro» così racconta Michele Carrozzi.

Componente fondamentale per chi intraprende questo percorso è sicuramente l’affinità che vi deve essere fra tutti i componenti, la formazione è sempre stata la stessa? «Sì, la formazione è sempre stata la stessa. Oltre a una grande passione per i Doors, ci unisce l’intento di riproporre la loro musica puntando su strumentazione vintage e fedeltà dei suoni, piuttosto che su atteggiamenti stereotipati tipici delle tribute band. Le nostre esibizioni lasciano anche spazio a improvvisazioni e interpretazioni originali, secondo lo spirito libero e creativo che ha sempre accompagnato la band californiana. Le nostre personalità e sensibilità creano un’alchimia perfetta, come una formula chimica. Alterarla significherebbe sconfessare l’intero progetto».

Dove vi siete esibiti per la prima volta? «Abbiamo esordito in una pizzeria, al Pinky di Acqui Terme, il 22 marzo del 2013. Da allora, ci siamo esibiti in una settantina di concerti in numerosi locali e festival del nord Italia».

Anche se probabilmente sarà difficile rispondere…avete una canzone che più vi rappresenta e che non può mai mancare durante un vostro concerto? «Non hai una domanda di riserva? A parte gli scherzi, non è facile scegliere perché sono davvero tanti i brani a cui siamo legati e che sono sempre presenti in scaletta. A parte le hit come Light my fire, Roadhouse blues, Touch me, Break on through, personalmente – afferma Michele – mi coinvolge molto When the music’s over. Suonarla dal vivo è come camminare su un filo sospeso nel vuoto, l’equilibrio sta nelle dinamiche prodotte dagli strumenti e nella teatralità dell’interpretazione vocale. Quando è ben eseguita, il pubblico rimane letteralmente ipnotizzato».

La vostra band è all’interno del circuito ufficiale del fan club italiano dei The Doors, quando siete entrati a farne parte? «Siamo entrati in contatto con questa realtà, una comunità molto attiva sul web e sui social che ha l’obiettivo di divulgare la musica dei Doors e far conoscere le migliori tribute band italiane, all’incirca quattro anni fa nel 2014. Grazie a loro riusciamo ad avere maggiore visibilità e a promuovere i nostri concerti anche livello nazionale».

L’anno 2017 si è concluso con un’esibizione molto importante e particolare… ce la volete raccontare?
«Certamente, a novembre abbiamo suonato a Zurigo al vernissage della mostra del pittore svizzero Christian Mühlemann.
La collaborazione artistica è iniziata la scorsa estate in occasione di una sua mostra personale inaugurata ad Acqui Terme. Christian ama l’Italia e la buona musica, siamo onorati del suo interesse nei nostri confronti. Grazie a lui ci siamo esibiti al Photobastei, prestigiosa galleria d’arte e importante centro della cultura underground. È’ stata un’esperienza fantastica, che rimarrà tra i nostri ricordi più belli»

Avete date già programmate per i prossimi mesi?
«Sicuramente saremo ad Acqui Terme per l’apertura della stagione al bar Haiti, probabilmente all’inizio di aprile
. Altre date sono in programma in estate. Rispetto agli anni scorsi, però, i concerti sono diminuiti drasticamente. La situazione negativa rispetto alla musica live, purtroppo, tocca un po’ tutti i gruppi, non solo il nostro. Potete comunque seguirci e rimanere aggiornati sui nostri eventi tramite la pagina Facebook The Dors»

Quando affermate che è un periodo sottotono e negativo per la musica live parlate del fatto che sia difficile trovare locali dove suonare con una giusta retribuzione? Cosa ne pensate della situazione generale dei musicisti della provincia?
«Quando il mercato “tira” c’è spazio per tutti, professionisti e non, con cachet adeguati per entrambe le categorie. La crisi ha un’origine più profonda, quella culturale.
A noi pare che i frequentatori di locali siano meno interessati alla musica dal vivo rispetto al passato. Perché un gestore dovrebbe investire risorse quando non si aspetta un conseguente ritorno economico? Questo processo, però, non è irreversibile. Anzi, con strumenti adeguati può essere invertito. Mi riferisco ad incentivi fiscali, quali, ad esempio, la riduzione o l’esenzione dei versamenti Siae. Con meno spese da sostenere, i gestori più illuminati potrebbero essere più propensi a rischiare, programmando stagioni musicali di maggiore livello artistico. Ciò farebbe riscoprire la gioia di ascoltare musica di qualità e innescherebbe un circolo virtuoso in grado di riportare il pubblico nei club. Le istituzioni hanno un ruolo fondamentale in questo processo. Chi dice che con la cultura non si mangia si sbaglia di grosso. Le attività culturali, quando ben gestite, creano profitto e posti di lavoro al pari delle classiche imprese economiche».

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