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    Andrea Scotto  
    11 Giugno 2018
    ore
    00:00 Logo Newsguard

    Da Voltaggio a Roma: Giovanni Battista de Rossi, un “santo del Confessionale”.

    La storia del nostro territorio è caratterizzata non solo da grandi personaggi che vennero e agirono qui da noi, ma anche da nostri conterranei che diedero altrove dimostrazione del proprio talento. E’ il caso di Giovanni Battista de Rossi, nato a Voltaggio nel 1698, che trovò la propria vocazione a Roma, dove morì nel 1764

    La storia del nostro territorio è caratterizzata non solo da grandi personaggi che vennero e agirono qui da noi, ma anche da nostri conterranei che diedero altrove dimostrazione del proprio talento. E? il caso di Giovanni Battista de Rossi, nato a Voltaggio nel 1698, che trovò la propria vocazione a Roma, dove morì nel 1764

    INTERVISTANDO LA STORIA –  La storia del nostro territorio è caratterizzata non solo da grandi personaggi che vennero e agirono qui da noi, ma anche da nostri conterranei che diedero altrove dimostrazione del proprio talento. E’ il caso di Giovanni Battista de Rossi, nato a Voltaggio nel 1698, che trovò la propria vocazione a Roma, dove morì nel 1764.

    Da Voltaggio a Roma: un bel salto, che dite?
    E’ vero, ma non lo feci con un balzo solo. I primi ad interessarsi a me furono gli Scorza che, avendo una casa a Voltaggio, conobbero la mai famiglia e mi offrirono la possibilità di trasferirmi a Genova, nel loro palazzo cittadino. Poi mio zio Angelo, frate cappuccino divenuto provinciale dell’Ordine, mi inviò a Roma presso mio cugino Lorenzo, divenuto canonico della chiesa di Santa Maria in Cosmedin: abitando da lui, ebbi la possibilità di frequentare il Collegio Romano, retto dai Gesuiti; e questo, nonostante l’epilessia che mi tormentava.

    Poi, un lutto improvviso.

    Nel 1710 morì mio padre, e i miei familiari mi scrissero di tornare a casa, per attendere agli affari di famiglia: ma ormai avevo scelto un’altra strada, quella indicata da Gesù quando disse: “In verità, non c’è nessuno che abbia lasciato casa, o fratelli, o sorelle, o madre, o padre, o figli, o campi a causa mia e a causa del Vangelo, che non riceva già al presente cento volte tanto in case, fratelli e sorelle e madri e figli e campi, insieme a persecuzioni, e nel futuro la vita eterna” (Marco 10, 29-30). E, credetemi, la mia nuova famiglia divenne in breve parecchio numerosa.

    In che senso?
    Ordinato sacerdote nel 1721, mi dedicai alla cura d’anime dei senzatetto ricoverati all’Ospizio di Santa Galla, dedicandomi assiduamente al sacramento della Confessione. Da me venivano tutti i più umili: i marinai e i facchini dei porti lungo il Tevere, i contadini e i bovari di Campo Vaccino (quello che voi conoscete come il Foro Romano, e che allora era una grande area di pascolo), oltre ovviamente ai senzatetto, per i quali mi arrabbiavo quando qualcuno li apostrofava come se fossero tutti dei delinquenti irrecuperabili.

    Da buon genovese, difficile tenere a freno la lingua.
    Sì, una tentazione con la quale dovetti sempre combattere: per questo, da giovane, animato da zelo sincero, mi imposi gravose penitenze che rovinarono la mia salute. Da confessore, perciò, raccomandai piuttosto di partecipare al Catechismo per adulti che tenevo regolarmente a tutti: per questo, e forse anche per il fatto che io andavo a cercare le mie “pecorelle smarrite” fin dentro le taverne, a Roma mi consideravano come un “nuovo” San Filippo Neri.

    Tutte queste persone da confessare, istruire, andare a recuperare nelle taverne: ma come faceva, data la precarietà della sua salute?
    Noi, poveri cristiani, facciamo ciò che possiamo: se occorre di più, è Dio che ci mette la differenza.

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