I Mondiali oltre gli Urali
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Simone Farello  
17 Giugno 2018
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I Mondiali oltre gli Urali

Delle undici città che ospitano la 32esima edizione dei Campionati Mondiali di Calcio solo una è collocata oltre gli Urali: Ekaterinburg. Questo centro industriale in cui il tempo non solo è passato invano, ma praticamente non è passato proprio, è ancora in Europa per soli quaranta chilometri

Delle undici città che ospitano la 32esima edizione dei Campionati Mondiali di Calcio solo una è collocata oltre gli Urali: Ekaterinburg. Questo centro industriale in cui il tempo non solo è passato invano, ma praticamente non è passato proprio, è ancora in Europa per soli quaranta chilometri

Delle undici città che ospitano la XXI^ edizione dei Campionati Mondiali di Calcio solo una è collocata oltre gli Urali: Ekaterinburg. Questo centro industriale in cui il tempo non solo è passato invano, ma praticamente non è passato proprio, è ancora in Europa per soli quaranta chilometri, anche se i creativi del settore turistico hanno deciso di sfruttare la sfericità del pianeta per collocare l’obelisco che segna il confine con l’Asia a soli diciassette chilometri dal centro. Pare infatti che i viaggiatori amino altrettanto calpestare genitali taurini in Galleria Alessandro Manzoni a Milano quanto una linea puramente convenzionale tra due Continenti. Questo è molto ingiusto verso gli Urali, che da millenni svolgono questa funzione con la sobria solidità che contraddistingue le catene montuose.

Eppure Ekaterinburg ne avrebbe di storia da raccontare: se nel 2017 la nuova Russia ha escogitato diversi stratagemmi per sfruttare senza sfruttarlo troppo il centenario della Rivoluzione Sovietica; molti devono aver tirato un sospiro di sollievo quando la finalissima di questo Mondiale è stata fissata il 14 luglio (data che i tifosi francesi considerano con un misto tra scaramanzia e presagio di apoteosi, anche dopo aver stroncato a botte di tecnologia la nerboruta Australia in quel di Kazan), tre giorni prima del centenario della strage dei Romanov da parte dei bolscevichi, che qui giustiziarono lo Zar Nicola II e la sua famiglia. Quando tutto il baraccone mediatico dell’evento sportivo più seguito del pianeta si starà già trasferendo verso il deserto del Qatar, Ekaterinburg rimarrà con i suoi fantasmi e la prospettiva dell’ennesimo inverno a – 40 sotto zero e il suo gemellaggio con la città di Genova, un tempo altrettanto metallurgica ma dal clima più gradevole.

Simone FarelloVedremo. Intanto, proprio l’altro ieri, lo Stadio Centrale di Ekaterinburg, hanno ospitato la sfida tra l’Uruguay, una delle nazionali più vincenti e decadute della storia del calcio, e l’Egitto, abbattuto più che dal gol di Gimenez dalla clavicola lesa di Salah,prima reliquia di questa edizione dei Campionati, che da ieri hanno anche il loro duello omerico, il loro yin e yang, incarnati in Cristiano Ronaldo e Leo Messi. Il primo, circondato da una nazionale poco più che mediocre, ha resistito da solo ad una Spagna che ha dimostrato di poter sopravvivere alla prima purga di un allenatore alla vigilia di un Mondiale; il secondo è sprofondato nello spleen non riuscendo a superare l’Islanda, unica nazionale che sembra costruita geneticamente in laboratorio tanto sono tutti grossi biondi e veloci. Si parlerà ancora a lungo dei due campioni, ma la questione è più filosofica che calcistica. Messi, gioca contro molte cose: le troppe finali perse, le pressioni di una nazione orfana di Maradona, che peraltro perseguita il suo erede peggio che il fantasma del padre di Amleto e, ovviamente, Cristiano Ronaldo. CR7 gioca e basta. Appena entra in campo non manifesta niente altro che una voglia strabiliante di giocare: vince perché pensa solo a divertirsi con un pallone. Messi gioca sotto pressione, Ronaldo lascia la pressione nello spogliatoio: anche se non vincerà il mondiale sarà, semplicemente, felice che ci sia una prossima partita. Messi se non vincerà il mondiale sarà , come direbbe il grande Soriano, triste, solitario y final. Un po’ come Ekaterinburg.

Dasvidania, tovarishes.

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