Capitali Mondiali
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Simone Farello  
12 Luglio 2018
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Capitali Mondiali

Siamo quasi all'epilogo di questa lunga contesa, e il duello finale sarà quello più logico. Quello tra l'unica squadra che ha dimostrato di avere sempre la situazione sotto controllo, la Francia, e la nazionale che più di tutte è riuscita a coniugare fame, agonismo ed equilibrio, la Croazia

Siamo quasi all'epilogo di questa lunga contesa, e il duello finale sarà quello più logico. Quello tra l'unica squadra che ha dimostrato di avere sempre la situazione sotto controllo, la Francia, e la nazionale che più di tutte è riuscita a coniugare fame, agonismo ed equilibrio, la Croazia

Siamo quasi all’epilogo di questa lunga contesa, e il duello finale sarà quello più logico. Quello tra l’unica squadra che ha dimostrato di avere sempre la situazione sotto controllo, la Francia, e la nazionale che più di tutte è riuscita a coniugare fame, agonismo ed equilibrio, la Croazia.
Intanto, per assistere alle due semifinali del Campionato del Mondo, ci siamo dovuti rassegnare a trasferirci nelle due capitali di questo immenso Paese, dopo aver respirato il futuro ad Ekaterinburg, oltre gli Urali, a Kazan, sulle rive del Volga e a Soči sul Mar Nero. In quelle metropoli, che la nostra curiosità inaridita ci impedisce di conoscere, abbiamo visto tutte le sfumature di una Russia che è molto di più che la grande caldaia d’Europa. E’ un fuoco turbolento e adolescente, con i grattacieli ben svettanti e la miseria ben nascosta agli occhi dei tifosi di tutto il pianeta, per una di quelle operazioni di igiene mediatica in cui si stanno specializzando gli stati di ogni ordinamento. Ma ciò a cui non riesci a sfuggire, se spalanchi bene lo sguardo e la mente, è che questa Russia europea è sempre più asiatica, sempre di più un lembo di Cina che si allunga verso di noi, piuttosto che un avamposto occidentale come in passato.

Lo capisci anche a San Pietroburgo dove, un tempo non lontano, per la Francia e la metà del Belgio sarebbe stato come giocare in casa; in un salotto di ottimo gusto dove tutti parlavano francese. Era questa la lingua delle persone colte; di un mondo estremo che produceva Tolstoj, Dostoevskij, Cechov e Gogol’ ma doveva esprimersi come a Versailles, per farsi accettare. Il derby di due giorni fa, in cui i Bleus hanno sancito contro i Diavoli Rossi la loro superiorità tattica e mentale, è stato invece una cosa per stranieri per il pubblico neutrale di questa città dai molti nomi, che con il calcio non ha mai avuto un grande feeling, nonostante i fasti recenti dello Zenit.

Il football era una cosa per moscoviti, quando era una città piena di fabbriche e operai, e il calcio dilagò, come avvenne ovunque, tra il popolo, che ancor prima dei soviet fondava i football club. Lo racconta bene Mario Alessandro Curletto nel suo piccolo magnifico libro ‘Spartak Mosca’edito da Il Melangolo, che attraverso l’epopea dei fratelli Starostin dice, della traiettoria e dei destini segnati del socialismo reale, molto di più che tanti trattati di storia. Ed è un peccato che non sia stato lo Spartak Stadium ma il sontuoso Lužniki, ad ospitare l’impresa croata contro un’Inghilterra con troppi giovani a difendere la troppa voglia di riscatto degli inventori del gioco. La squadra di Southgate ha perso con eleganza e dignità, lasciando a Modric, Perisic e Mandzukic il compito di impedire alla Francia di conquistare il secondo mondiale.

Noi la aspettiamo qui a San Pietroburgo, per la finale terzo e quarto posto che ovviamente è stata assegnata a questa ex capitale, che la storia dei sogni e del tramonto della Rivoluzione la racconta con l’urbanistica. La aspettiamo seguendo i consigli dello scrittore parmigiano Paolo Nori, mescolando vodka Diplomat e birra Baltica 9, guardando sulla facciata di un caseggiato di edilizia popolare sovietica la gigantesca scritta JA LJUBLJU TEBJA, ti amo.

Dasvidania Tovarishes.

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