Leggende e presagi mondiali
Sicuramente la vittoria della nazionale italiana femminile contro la Giamaica, una delle tre squadre all’esordio nella massima competizione di football, insieme a Nuova Zelanda e Sud Africa, non è giunta inaspettata. Il pronostico, in questo caso, era tutto a favore delle azzurre ma, agli sportivi è noto, onorare i pronostici è sempre difficile. I presagi favorevoli spesso induriscono le gambe, aumentano il battito cardiaco e possono gettare anche il più collaudato dei gruppi in un panico da prestazione a cui nessun mental coach può porre rimedio. Per fortuna la scarsa vena del portiere delle Reggae Girlz e la giornata di grazia di Cristiana Girelli hanno permesso di chiudere la pratica al 25° minuto.
Chissà se in quel momento, quando la solidità del risultato può lasciare spazio alla divagazioni della mente di una calciatrice o di un’allenatrice (perché mentre si gioca, nelle pause impercettibili delle azioni, o nel ritmo di sottofondo di uno sforzo ripetuto come una corsa o una nuotata, si pensa a molte cose), qualcuno si è reso conto che questa partita si disputava in uno dei luoghi consacrati della storia del calcio.
Reims non è una città qualsiasi, per il football. Il suo club, lo Stade de Reims, giunse ad un soffio dall’aggiudicarsi la prima Coppa dei Campioni della Storia. Era il 1956, al Parco dei Principi di Parigi, e al decimo del primo tempo la squadra di Raymond Kopa era in vantaggio per due a zero, e dopo essere stata rimontata alla fine dei primo tempi tornò in vantaggio al 62°. Ma di fronte non aveva una squadra qualsiasi, ma il Real Madrid di Alfredo Di Stefano, che rimontò ancora e infine vinse, 4 a 3, dando inizio a un dominio che si interruppe solo nel 1960, dopo cinque vittorie. Una di queste, nel 1959, la ottenne di nuovo contro lo Stade de Reims. Kopa giocava nei Blancos, e l’attacco dei francesi era guidato da Just Fontaine, capocannoniere dei mondiali svedesi del ’58. Finì 2 a 0, condannando la squadra di Reims al pantheon dei grandi perdenti: perché ci vogliono magnifici sconfitti per creare il mito dei vincitori.
Anche se lo stadio è stato ricostruito e rinominato, l’Auguste-Delaune, già Velodrome, è uno dei campi elisi dei devoti del calcio, ed è circondato dalla stessa aura sacra della Cattedrale della città, dove per 900 anni si sono incoronati i Re di Francia.
La speranza, e a questo punto anche l’aspettativa, è che la polvere della gloria si sia posata sulle spalle delle nostre giocatrici, che hanno dimostrato di poter essere protagoniste di questo Mondiale: il tiro con cui Adriana Galli ha segnato il quarto goal è da strabuzzare gli occhi e gli interventi difensivi di Elena Linari rendono onore a quella tradizione italiana che, sulla solidità delle retrovie, ha sempre costruito i suoi successi.
Naufragati nei sogni passati, presenti e futuri abbiamo attraversato al sera di Reims, rendendo omaggio all’altro grande dono che questo luogo ha fatto all’umanità: lo champagne. Percorrendo una rete di linee che si intersecano e si allacciano, come il viaggiatore di Italo Calvino, abbiamo appreso da un vecchio tifoso che lo Stade de Reims nacque Société Sportive du Parc Pommery e che morì e risorse più volte, dopo il 1959. Anche come, dopo numerose peripezie societarie e molti campionati nell’oblio delle serie minori, Stade de Reims Champagne, dal 1992 al 1999. E nel 1999 l’Italia femminile giocò il suo ultimo mondiale prima di questo. Un altro presagio.
Allons, filles.