“Andar per schegge”, il lungo viaggio di un ultra maratoneta
Massimo Oliveri ha partecipato due volte all'ultramaratona Milano-Sanremo (287 chilometri) e ha raccontato la sua esperienza in un libro
NOVI LIGURE — «Tutti sanno che nella maratona, intorno al trentaseiesimo chilometro c’è un “muro” più psicologico che fisico: è quando il tuo io mentale si scinde dal corpo e cerca di convincerti che è ora di fermarsi e riposare e tu devi essere più forte di lui, non ascoltarlo anche se sai che è un consiglio sensato, intelligente, e spingerti ancora di più oltre i tuoi limiti. È una delle ragioni che scremano di più la pattuglia dei maratoneti, perché l’allenamento fisico lo potrebbero reggere quasi tutti, ma quello mentale non c’è niente da fare: o lo sai controllare o non lo saprai controllare più. Ora, immagina cosa può dirti il tuo io mentale durante una corsa che dura 287 chilometri».
Le parole con cui Massimo Oliveri apre la nostra chiacchierata sono già molto indicative del tenore con cui si svilupperà l’intera intervista: davanti a me non ho solo un atleta o un professore di educazione fisica nel senso più “popolare” del termine, ma ho un grande comunicatore e un grande pensatore. «Hai un chip attaccato alla caviglia – continua Massimo – che serve a monitorare il tuo percorso ma soprattutto ha un pulsante che se lo schiacci ti garantisce che ovunque tu sia qualcuno verrà a prenderti e a soccorrerti ma contemporaneamente ti sarai anche ritirato dalla corsa. E arriva per tutti il momento in cui il tuo io interiore ti consiglia di premerlo e di non soffrire più».
La descrizione delle due ultramaratone Milano-Sanremo a cui ha partecipato è quanto di più simile a una realizzazione dal vivo del libro “La lunga marcia” di Stephen King: lì a spingere i corridori a continuare a tenere una velocità minima di sei chilometri all’ora era lo spettro dell’eliminazione, qui la lotta è fra il corpo che continua a correre e la mente che, molto più pragmaticamente, chiede che senso abbia continuare a mettere un piede davanti all’altro rimanendo svegli per 48 e passa ore solo per dimostrare, più a sé stessi che agli altri, che è possibile farlo. Il libro poi, “Andar per schegge tra sogno e follia” edito dalle Edizioni Vallescrivia, parla di molto di più: racconta la vita di un bambino che ha cominciato come suonatore di fisarmonica, per poi passare da ragazzo al ciclismo dilettantistico dove per un breve periodo la sua carriera si intreccia con quella di Marco Pantani, per finire a un uomo che fa del rapporto con il proprio fisico la base di partenza per raccontare tutto quello che accade intorno a lui più che dentro di lui durante una gara, dove sei solo ed hai tanto tempo per pensare.
«Io credo che il fatto che nessuno dei partecipanti a una UltraMilanoSanremo si sia mai fatto male sia di per sé un miracolo – chiosa soddisfatto – tu corri da solo, di notte, lungo strade che per la maggior parte dopo avere passato i grandi centri della pianura padana sono male illuminate e hai solo una lampadina in testa a indicarti la via e speri sempre che le rare macchine che percorrono la tua stessa strada ti vedano. Ed hai tanto tempo per pensare e, da un certo punto di fatica in poi, non sai più distinguere i pensieri dai deliri».
Un viaggio fisico lungo i chilometri di una gara podistica – oltre alla Milano-Sanremo c’è anche la 100 chilometri del Passatore – temporale lungo una vita dalla fine degli anni Sessanta a oggi, mentale dentro il sé del corridore, senza sapere quale lasci più provati.