“Parasite”: la vita è fatta a scale
Il film di Bong Joon-ho è la prima regia sud-coreana a vincere la Palma d’Oro a Cannes la scorsa primavera
CINEMA – Nella fase di messa in opera del suo ultimo film, Parasite, Palma d’Oro a Cannes la scorsa primavera (la prima regia sud-coreana a vincere il prestigioso riconoscimento), Bong Joon-ho ha avuto modo di ripensare intensamente ai precedenti suoi lavori; dal pluripremiato mistery Memories of Murder, suo esordio nel 2003, al monster movie The Host, campione d’incassi nel 2006, passando attraverso il thriller Mother (2009), il fantascientifico Snowpiercer (2013, suo debutto in lingua inglese) e, infine, il fantasy Okja (2017).
Queste pellicole, tutte attraversate dall’interesse del regista – esponente del nuovo cinema coreano che ha iniziato a far sentire la sua voce a livello internazionale a partire dalla fine degli anni Novanta – per la rappresentazione e la critica sociale applicate spesso agli sfondi familiari (al pari del conterraneo Kim Ki-duk, con la medesima incisività narrativa; e del giapponese Kore’eda, ma con maggior rigore geometrico), confluiscono, in qualche misura, in questo Parasite, come ha ammesso Bong Joon-ho stesso nel corso di un’intervista a “Rolling Stone”: «Volevo continuare a esplorare la questione del conflitto di classe. Ma dovevo fare una pausa dai grandi film di genere e da Hollywood e concentrarmi su una storia più realistica ambientata in Corea. […] Ho lavorato come tutor per una famiglia molto ricca al college. Sono stato licenziato dopo due mesi, ma ho sempre avuto la sensazione di infiltrarmi segretamente nella vita di uno sconosciuto».
Dopo Snowpiercer, adattamento della graphic novel francese Le Transperceneige (1982) – ambientato all’interno di un treno che diviene metafora delle differenze e ingiustizie sociali – Bong si rende conto di voler approfondire l’esplorazione di questo tema. Inizia, dunque, a scrivere le scene, alcuni dialoghi, a pensare alle possibili posizioni della macchina da presa per una storia per la massima parte girata in interni, in cui a fare da sfondo sono due case: una ricca e un’altra poverissima, accomunate – tuttavia – dalla presenza (fondamentale sia a livello simbolico che estetico) di un teorema di scale, fulcri narrativi e insieme fughe prospettiche. «Volevo trovare qualcosa di adatto per il teatro,» ha sottolineato il regista. «Visto che lo spazio su un palco è limitato, ho iniziato a pensare a qualcosa che avrebbe funzionato con una o due location. Ho avuto l’idea di una storia che si sarebbe sviluppata in due case, una ricca e una povera».
Intanto, Bong Joon-ho gira Okja, e la scrittura di Parasite slitta ulteriormente, sino all’autunno 2017, quando viene ripresa e portata a conclusione nell’arco di circa quattro mesi. Nasce, quindi, l’architettura geometricamente spietata del film, che ha suscitato non poche polemiche alla sua uscita nelle sale della Corea del Sud: commedia nera e, insieme, corrosiva satira sociale e melodramma farsesco, nel quale i personaggi salgono e scendono alternativamente scale su scale, compressi entro un doppio movimento che molto presto svela il suo retroterra tragico e grottesco.
«Per me, il cuore della storia sono sempre stati questi personaggi, che non sono mostri ma gente che vedresti per strada, i tuoi amici e i tuoi vicini. E quando mantieni quel nucleo, anche se il film cambia mood e stile – dalla commedia nera al caper movie all’horror – è grazie ai personaggi che ti sembra ancora che tutto faccia parte di un’unità coerente. La mia direzione per il cast è stata: la trama sei tu. Sto semplicemente registrando il comportamento umano», ha ribadito Bong.
Il cast è eccezionale nella sua semplice, scarna messinscena: Song Kang Ho, attore prediletto di Bong Joon-ho, veste i dimessi panni di Ki-taek, capofamiglia privo – come la moglie Chung-sook (Chang Hyae Jin), ex campionessa olimpionica di lancio del peso – di qualsivoglia risorsa economica, la cui conquista è affidata alla sola inventiva dei due figli adolescenti, Ki-woo (Choi Woo Shik) e Ki-jung (Park So Dam). La famiglia, costretta a vivere in uno squallido seminterrato con vista su di un angolo di quartiere ricettacolo di varia e poverissima umanità, si ingegna a raggranellare qualche soldo piegando i cartoni alimentari per la pizza. L’occasione, imprevista quanto – come si vedrà nel corso del film – beffarda, di migliorare la propria posizione sociale si presenterà a Ki-woo sotto forma di un amico studente universitario, che lo proporrà al posto suo come insegnante d’inglese presso una famiglia benestante.
Film sul contrasto di classe, ma anche sulla ricerca dell’identità, sulla lotta senza esclusione di colpi fra alto e basso, fra mondi condannati a percepirsi come estranei, senza alcun punto di contatto, Parasite è un’opera spiazzante, quasi brutale nella sua descrizione della realtà.
Resta, alla fine, la domanda relativa al titolo scelto da Bong Joon-ho: sull’effettiva natura del termine “parasite” (parassita), applicato alle figure che popolano la storia.
«Risponderò a questa domanda se dovesse arrivare durante un incontro con il pubblico, ma ho spiegato al marketing che non cercherò di definire il significato che avrà il titolo per il pubblico. Lasciate che ognuno si faccia un’idea sua», è stata la lapidaria conclusione del regista.
Parasite (Gisaengchung)
Regia: Bong Joon-ho
Origine: Corea del Sud, 2019, 132’
Sceneggiatura: Jin Won Han, Bong Joon-ho
Fotografia: Kyung-pyo Hong
Montaggio: Jinmo Yang
Musica: Jaeil Jung
Cast: Song Kang-ho, Park So-dam, Lee Sun-kyun, Jo Yeo-jeong, ChoiWoo-sik
Produzione: CJ E&M Film Financing & Investment Entertainment & Comics, Barunson E&A, CJ Entertainment, TMS Comics, TMS Entertainment
Distribuzione: Academy Two