Ilva, accordo tra azienda e commissari. Ma i sindacati restano critici
Per i rappresentanti dei lavoratori l'intesa sancisce uno stallo lungo quasi un anno, in un momento di grande incertezza
NOVI LIGURE — È pace fatta tra i commissari dell’Ilva e Arcelor Mittal? Sembrerebbe di sì, visto il pre accordo che è stato raggiunto ieri e che cancella la causa civile intentata presso il tribunale di Milano. L’intesa modifica il contratto di affitto e acquisizione degli stabilimento di Taranto, Genova, Novi Ligure e Racconigi e prevede un investimento significativo da parte dello Stato, da sottoscrivere entro il 30 novembre.
L’accordo prevede anche un nuovo piano industriale con l’introduzione di tecnologie per la produzione di acciaio, la costruzione di un impianto per la riduzione del minerale ferroso e un altoforno ad arco elettrico che sarà costruito da Arcelor Mittal. Se l’investimento del governo non venisse sottoscritto entro il 30 novembre 2020, Arcelor Mittal avrebbe un mese per esercitare il diritto di recesso, subordinato però al pagamento di un importo pari a 500 milioni di euro. La chiusura del contratto di affitto e acquisto è prevista per il maggio 2022.
Arcelor Mittal si impegna ad impiegare alla fine del nuovo piano industriale 2020-2025 «il numero complessivo di 10.700 dipendenti». Entro il 31 maggio 2020 l’azienda dovrà trovare un accordo coi sindacati per utilizzare anche la cassa integrazione fino al raggiungimento della piena capacità produttiva.
Critici i sindacati. Cgil, Cisl e Uil e i metalmeccanici di Fiom, Fim e Uilm hanno sottoscritto una nota in cui denunciano come «assolutamente non chiara la strategia del Governo in merito al risanamento ambientale, alle prospettive industriali e occupazionali del gruppo». «A questa incertezza – scrivono – si somma una totale incognita sulla volontà di Arcelor Mittal riguardo l’impegno finanziario nella nuova compagine societaria».
Per i rappresentanti delle tute blu, «nei fatti il pre accordo prevede una fase di stallo da qui alla fine del 2020 per quanto riguarda le prospettive e l’esecuzione del piano industriale. Tutto questo arriva dopo due anni di incertezza, particolarmente rischiosa per una realtà industriale che necessita invece di una gestione attenta e determinata. A ciò si somma una congiuntura sfavorevole del mercato dell’acciaio».
Per i sindacati rimane indeterminata «la possibilità di occupare i 10.700 lavoratori più i 1.800 in amministrazione straordinaria e i lavoratori delle aziende di appalto, che l’accordo del 6 settembre 2018 assicurava». Inoltre il pre accordo prevede un aumento dei lavoratori in cassa integrazione. Anche la ripartenza dell’altoforno 5 «ha tempistiche del suo rifacimento troppo dilatate nel tempo».
«L’accordo del 6 settembre 2018 non prevedeva esuberi né l’utilizzo della cassa integrazione. Garantiva la presenza di un grande produttore di acciaio a eseguire il piano stabilito. Quell’accordo resta la migliore garanzia di tutta l’occupazione, del risanamento ambientale e del rilancio produttivo», concludono Cgil, Cisl, Uil e Fiom, Fim e Uilm.