Valenza nel ‘600, tra pestilenze e guerre
Un ulteriore approfondimento del professor Maggiora
VALENZA – Pubblichiamo un nuovo saggio sulla storia della città di Valenza a cura del professor Pier Giorgio Maggiora.
A Valenza il XVII secolo, intriso di doppiezza e ambiguità, è ricco d’eventi rilevanti, in particolare quelli di carattere militare, sempre a causa della posizione geografica della città. La statura militare di Valenza è in continuo aumento; è un rilevante avamposto guarnito della Lombardia spagnola verso il Piemonte sabaudo e il Monferrato dei Gonzaga.
Duomo, monasteri e conventi, le numerose confraternite e chiese provano una certa densità di popolazione (quasi 5.000 persone all’inizio del ‘600), saranno nuovamente le troppe guerre, le miserie e le pestilenze, a provocare in questo secolo altri rilevanti vuoti demografici. Il borgo di Monte è formato da circa un centinaio di persone.
Il nuovo Duomo, completamente restaurato, è aperto al pubblico nel 1622 (prima pietra nel 1619-architetto Paolo Falcone), anche se non ancora completamente ultimato. C’è un’atmosfera di fiducia generale, ma nell’anno “horribilis”1630 rincasa una terribile pestilenza: è una delle più famose e micidiali. L’epidemia è nota come “peste manzoniana” perché sarà ampiamente descritta da Alessandro Manzoni nel romanzo “I promessi sposi” (provoca nell’alta Italia circa un milione di morti). Quella che, in poco tempo e in modo madornale, minaccia di cancellare l’intera popolazione valenzana portandola in meno di due anni da 4.500 a 2.000 abitanti. Con lazzaretti (un primo eretto fuori le mura, poi uno al di là del Po formato da alcune baracche e una chiesetta di legno), monatti, falò di mobili ed effetti personali infetti e seppellimenti in fosse comuni.
Si attribuiscono le cause più varie: dalla punizione divina all’esistenza di persone malvagie, chiamate “untori”, intenti a diffondere la peste tramite sostanze letali o particolari oli contaminati con i quali ungono i portoni delle case infettando coloro che vi abitano (e non si pensi che la credulità sia un’attitudine oggigiorno del tutto superata: il coronavirus è un piano di controllo, è un’arma biologica, ecc.). La Chiesa, inoltre, per ridurre il diffondersi della peste, celebra messe e processioni in cui i fedeli si congiungono per pregare. Ovviamente il raduno di persone infette ha l’effetto contrario a quello immaginato.
Sempre pochi i protettori degli oppressi e degli sventurati. Poco realizzano i Conservatori comunali della Sanità, sono i religiosi e i cappuccini locali a distinguersi e prodigarsi per alleviare le sofferenze e per l’assistenza nei lazzaretti. È un altruismo che sgorga dal loro cuore con una forte pietà: un sentimento così insolito e così nobile da essere degno di un elogio. Hanno scelto il luogo e il compito più probo per un vero cristiano: quello occupato dai sofferenti. Tra questi sono da ricordare padre guardiano Ludovico Bombelli e padre Francesco Dinina morti di peste, fra Onorato Cerreti, padre Sante Calcamuggi e il prevosto del duomo Bartolomeo Bocca morto anch’egli contagiato, tutti immolati.
Anche le variegate e vitali confraternite locali (San Bernardino, Santa Maria del Cappuccio, Ss. Trinità, San Rocco, San Bartolomeo) si spendono in favore dei più sfortunati, sono attive soprattutto durante le pestilenze e le guerre, operano nell’aiutare gli ammalati, gli orfani, le vedove, nel dare accoglienza ai pellegrini e nel dare sepoltura ai morti.
L’epidemia è debellata solo nell’inverno del 1630-31, con il favore del freddo. Nell’anno seguente, e in quello successivo, si registra invece per buona sorte un numero elevato di matrimoni e una crescita delle nascite, ma passerà più di un secolo e mezzo per ripristinare il proprio tessuto demografico (nel 1796 la città centro raggiungerà i 4.143 abitanti).
Ad ogni buon conto, come il solito per Valenza, anche in questo secolo XVII, sono le lotte armate a dominarne la cronistoria.
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In seguito alla ripresa delle guerre tra francesi e spagnoli e i loro complici, entro il più esteso quadro europeo della Guerra dei Trent’anni (che dal 1618 al 1648 insanguina l’Europa), Valenza resiste ad un assedio di quasi due mesi (9-9-1635 / 27-10-1635) da parte degli eserciti collegati di Francia, Savoia, Parma e Modena che intendono interrompere ai milanesi le comunicazioni con Genova. La nostra città è però ben presto rinforzata con truppe e gli assedianti dovranno infine abbandonare l’accerchiamento per la coraggiosa resistenza, e per sfinimento, ritirandosi verso il Monferrato.
Questa città, vittima e principale capro espiatorio, è stata difesa dalle truppe spagnole e dello Stato di Milano con contingenti tedeschi, napoletani e svizzeri, comandati dal marchese di Celada (un giovane e valoroso generale spagnolo morto e sepolto a Valenza) con l’amico don Filippo Spinola e da don Francisco de Melo. Il governatore della città è stato don Martin de Galiano, il comandante Francesco de Cardenas.
Tuttavia, l’anno seguente (1636), nel mese di giugno, lo stesso borioso comandante francese Créquy (Charles de Blanchefort duca di Créquy, maresciallo di Francia) tenta una nuova aggressione, ma il marchese di Leganes (Diego Mexía Felipez de Guzmán y Dávila), capitano generale e governatore del Ducato di Milano, si precipita a Valenza con truppe fresche e riesce a respingere i francesi.
I valenzani non hanno tempo a scuotersi di dosso il senso di disgusto che devono contrastare ancora i francesi nel 1641, i quali, aiutati da armigeri del Monferrato (1.500 fanti fiancheggiati da 1.000 monferrini) e quasi per non stare in ozio, tentano nottetempo di scalare le mura di questa città, ancora stesa a terra. Sono però respinti, con abbondanti perdite, dal presidio e dalla milizia urbana comandata dal capitano Gabriello de Cardenas, un autocrate illuminato che comanda con il pugno di ferro. Egli rimane governatore di Valenza dal 1636 sino alla morte nel 1644.
E siccome al peggio non c’è fine, nel 1656 (25 giugno – 13 settembre), dopo quasi tre caldissimi e soffocanti mesi d’assedio e molti inesausti tentativi esterni per spezzare il blocco (ripetute manovre dei franco-piemontesi di entrare attraverso Frascarolo sono stati respinti), la città deve capitolare alle truppe di Francia, Savoia e Modena, capitanate da Francesco d’Este duca di Modena generale di Luigi XIV.
Sono circa 10.000 gli assedianti francesi, mentre la città è difesa coraggiosamente da 800 mercenari e 700 miliziani agli ordini del generale spagnolo, governatore della piazza, don Agostino Segnudo, con effetti devastanti sulla città.
La Pace dei Pirenei, del 7 novembre 1659, pone fine alla guerra tra Francia e Spagna, durata 23 anni. Come conseguenza, Valenza ritorna metafisicamente agli spagnoli, indi allo Stato di Milano.
La recessione economica, e la decadenza d’alcune strutture produttive agricole e manifatturiere locali, inizia nel 1619-20 e si aggrava con la peste del 1630-31. I conflitti dei due decenni successivi provocano l’abbandono di molte terre e riducono l’attività agricola; allo stesso tempo aumenta il costo del lavoro e il prezzo delle derrate alimentari. Ma, dal 1660 in avanti, l’agricoltura ha una certa ripresa con rilevanti trasformazioni.
È una ristrutturazione che si concretizza anche nel settore mercantile e nell’ancora gracile settore industriale-manifatturiero. Le nuove rotte commerciali dirette ai porti di Genova e di Livorno, dove forte è la presenza di mercanti e di naviglio provenienti dall’Europa atlantica, forniscono una spinta all’apertura del percorso che da Genova, via Valenza, mette in comunicazione il capoluogo ligure con Milano ed il Nord. Sempre più dinamico è perciò il commercio attraverso i ponti di barche sul Po. Tra le rive funziona incessantemente anche un impianto d’attraversamento “a pendolo”, collegato con un cavo.
Crescono diverse filande e un’industria di fustagni (tessuti) che occupano grandi quantità di donne, rinomata è altresì la fabbricazione di vasi atti a contenere il vino, si sviluppa l’estrazione e il commercio di “terra bianca”, verosimilmente cave di calce le quali provocheranno certi avvallamenti nelle vicinanze della città (fuori di Porta Astiliano o Astigliano, da sud ad ovest). Esercitano quest’attività assai lucrosa le famiglie Aribaldi, Belloni e Cagnoli, proprietarie di fondi ricchi di questa terra.
Nel 1679, pure a Valenza si celebrano solennemente gli accordi di pace (più sulla carta che nella realtà) conclusi tra Spagna e Francia e mai rispettati (altro che “pacta sunt servanda”), sperando, invano, di essere lasciati indisturbati. E invece ci risiamo. Sul finire del secolo si profila una sconvolgente contesa armata, la città è nuovamente minacciata dalla guerra che quasi tutti gli stati d’Europa (Lega di Augusta – 1686) hanno intrapreso contro il dispotismo di Luigi XIV.
Valenza subisce il nuovo assedio nel 1696 (19-9-1696 / 9-10-1696) e il motivo, quasi inspiegabile, non differisce molto da tutti gli altri che lo hanno preceduto. Un altro, l’ennesimo, un incubo che non scema mai; la posizione di questa città è diventata una sorta di maledizione, per cui tutto si ripropone sempre uguale. La città riesce tuttavia a resistere alle diverse migliaia di francesi e sabaudi (50.000 fanti e 14.000 cavalieri, forti di 60 cannoni e molti mortai, guidati da Vittorio Amedeo II), e all’incessante bombardamento che provoca molte perdite.
L’attacco è avviato con un martellante cannoneggiamento concentrato nel medesimo punto in cui i francesi erano intervenuti con successo nel 1656: il lato Nord-Est compreso tra la Porta di Bassignana e il Bastione Caracena. Sciagure simili agli assedi precedenti sono le scorrerie che fanno terra bruciata nei territori circostanti (Piovera, Montecastello, Pietramarazzi, ecc.) in un caos quotidiano permanente. Anche Lazzarone è saccheggiato, resterà sotto Valenza sino al 1722 quando i Savoia gli concederanno la speciale patente per reggersi come Comune.
Valenza è comandata dal governatore spagnolo don Francisco Colmenero (Maestro di Campo del Terzo di Napoli) il quale sa tener testa a tutti gli attacchi degli alleati avversari (è il Leonida delle Termopoli valenzane, un condottiero carismatico, amato e temuto, al quale verrà dedicata la Porta Bedogno che dal 1696 prenderà il suo nome).
Nonostante la brevità dell’assedio, i danni alle persone, alle abitazioni, come a molte strutture, sono gravissimi. Più di un centinaio le vittime, il monastero dell’Annunziata (attualmente Parco Trecate, secolare parco de Cardenas-Trecate dove si trovava la residenza dei governatori spagnoli), fondato nel XV secolo dalle religiose di Sant’Agostino, è quasi completamente distrutto e le monache si devono trasferire presso l’Ospedale a Porta Po. Tre anni dopo (1699) nel nuovo luogo sorgerà la chiesa della SS. Annunziata.
Alla fine del ‘600 ci sono a Valenza città circa 2.000 abitanti, 15 cascine e il borgo di Monte ha circa 300 abitanti. C’è il castello-rocca (trasformato in cittadella militare, diverso dalla costruzione medioevale residenza dei feudatari demolita verso il 1557) con le fortificazioni interne ed esterne rovinate e migliorate più volte, un numeroso presidio di soldati spagnoli, la grande piazza (oggi piazza XXXI Martiri), un podestà comunale, 2 notai, 4 medici salariati, 2 fanti comunali (Polizia urbana), un prevosto, 8 canonici, un curato, 20 cappellani, 3 conventi di frati e 2 di monache (quasi più religiosi che anime da salvare).
Il sacro viene infilato dappertutto, crisi politiche, economiche, esistenziali, erotiche o sataniche. La parrocchia è la dimensione della vita, scandita da campane, orazioni, processioni e pellegrinaggi in cerca di miracoli.
In questo secolo i prevosti sono stati: Bocca Bartolomeo 1605-1630, Cattaneo Marc’Antonio 1632-1684, Lana Giulio Stefano 1685-1713. I governatori: 1594 Alonso Bezzerra, 1611 Michele della Fora, 1635 Martino Galliano, 1635 Don Alonso de Cordova, 1635 Francesco de Cardenas, 1636 Gabriele de Cardenas, 1650 Antonio de Leon, 1656 Agostino Segnudo, 1657 Francesco Augusto Villevoire, 1663 Agostino Segnudo, 1676 Michele de Cordova y Alagon, 1691 Francesco Colmenero. I podestà: 1600 G.B. Oliati, 1602 Ercole Rosignoli, 1604 Giovanni Maria Oliati, 1606 Gerolamo Torelli, 1608 Pirro Gattinara, 1610 Giovanni Tosi, 1612 Giovanni Andrea Torti, 1616 Carlo Boidi, 1622 Cesare Ferrari, 1626 Sinibaldo Boidi, 1628 Antonio Luigi Bianchi,1630 Giovanni Luigi Buzzone, 1632 Antonio Luigi Bianchi, 1634 Virginio Rocci, 1638 Pietro Gamondio, 1648 Lodovico Gambarano, 1650 Francesco Burgario, 1652 Carlo Francesco Uzardi, 1656 Gabriele Mantelli, 1658 Grassi Polati, 1660 Giuseppe Tremoli, 1662 Antonio Medici, 1670 Francesco Villegas, 1674 Canefri, 1676 Bartolomeo Forti, 1682 Orazio Pernigotti, 1690 Biagio Aulari, 1693 Gaspare Giuseppe Annibaldi, 1697 Claro Antonio Calvino, 1698 Giovanni Francesco Ribocchi, 1700 Molo Bassano.