Valenza nell’ Alto Medioevo
Un nuovo approfondimento storico del professor Maggiora
VALENZA – Poter dire fedelmente quali vicende portarono alla sparizione della Valenza romana è cosa molto difficile, in quanto non esistono fonti storiche che esaminino questo poco felice periodo. Proviamo a ricomporlo penetrando nell’inedito squarcio locale dell’Alto Medioevo.
Durante la belligeranza greco-gotica, Valenza è vulnerata e sottomessa a Odoacre (re degli Eruli); egli assedia Pavia nel 476, la espugna e la incendia, non disdegnando di depredare la nostra zona che nel 490 subisce le orrende incursioni del burgundo Gundebaldo o Gundobado (il quale, all’epoca, regna su mezza Francia e mezza Svizzera odierne) alleato di Teodorico il Grande (Re Goto, dal 497 viceré e governatore d’Italia).
Pertanto, durante la guerra fra Teodorico e Odoacre, devastano le nostre terre i Burgundi i quali, non contenti di rubare e distruggere, trascinano in schiavitù un gran numero di abitanti del luogo. Pare che i danni provocati dai Burgundi siano tali che, nell’anno in cui Teodorico inizierà a governare, abbonerà ai valenzani i due terzi delle “imposte”.
Nel V secolo d.C. la fortificata Valentia romana con il “Castrum” viene dunque tenacemente rasa al suolo dagli invasori barbari, in quanto intralcio scomodo da non lasciarsi alle spalle. Sopravvivono al disastro i tre paesi (frazioni) che fungono da cintura rurale e abitativa del nucleo militare (quartieri marziali creati da Valentiniano). Ed è appunto nella località di Astiliano (tanti i nomi scovati, Aestinianus, Artiliano, Astilianum, Astigliano) che accrescono quei fattori che conducono alla ricostruzione di Valenza in altro luogo. In questa località (Astiliano), posta lungo la dorsale collinare, è presente un apprezzabile borgo che continuerà a sopravvivere sino al XV secolo, a cui fa capo una chiesa consacrata a S. Giorgio. Secondo la tradizione popolare, in questo edificio sacro avrebbe officiato San Massimo.
Giacché la leggenda di San Massimo avanza circostanze poco attendibili, il dato più verosimile di essa potrebbe essere questo: l’artefice della ricostruzione di Valenza (intorno al 490), prima di indossare l’abito talare, sarebbe stato un valente difensore militare promotore della riedificazione. Anche le notizie sulla sua vita sono molto scarse e poco attendibili: San Massimo nasce a Valenza verso la metà del 400 d.C. e muore a Pavia nel 514, diventa vescovo di Pavia per alcuni nel 496 e per altri nel 513. Pare fosse ambasciatore di Teodorico e che partecipi a concili in Roma.
Dunque la nuova Valenza sorge in quell’area tuttora conosciuta come Colombina, un pianoro posto a sud del corso del Po, isolato da due valloni a est e a ovest; dapprima non è di ampie dimensioni e il suo perimetro è di forma trapezoidale. Centro di raccolta è l’attuale piazza Statuto, in cui è situata una piccola chiesa, forse dedicata a Santa Maria e poi a San Massimo. Un agglomerato urbano con robuste mura, protette da profondi avvallamenti, alla sommità di un aspro crinale: un durissimo ostacolo alle scorrerie di barbari e predoni.
Poi, siccome nel peggio non c’è fondo, la nuova Valenza è nuovamente messa a ferro e fuoco dalle truppe dal famoso generalissimo bizantino Belisario, comandate da Mungila, durante la guerra gotica nel Regno d’Italia sotto il dominio degli Ostrogoti (dal 535 al 540), con molte vittime della violenza e parecchie persecuzioni; mentre anche le truppe di Narsete (altro generale bizantino di Giustiniano), durante il lungo e devastante conflitto vinto contro Goti, Franchi e Alemanni, investono parecchie volte la nostra zona tra il 553 e il 562. Il prezzo pagato dalle nostre genti, come sempre, non è irrisorio.
Valenza (denominata anch’essa in tanti altri modi nei documenti), incapace di fare fronte sia al vigente sia al futuro, è ormai un piccolo centro abitato, un tempo vivo e ora assoggettato un po’ a tutti, che sembra un luogo adeguato per defunti. Pare rappresenti un borgo sepolcrale di spettri, devastato anche dalle pestilenze del 543 e del 565, privo di speranza, dove il degrado civile è profondo e l’unico motore è l’istinto di sopravvivenza carico di risentimento, se non d’odio nei confronti d’altri popoli: esso prevale su qualsiasi altro impulso. A differenza dell’epoca romana la città non possiede militari, per cui all’occorrenza, contadini, artigiani, giovani e vecchi abbandonano le faccende e si improvvisano soldati. Anche il porto fluviale sul Po è malgrado tutto in funzione, sotto lo sguardo attento di sorveglianti pronti a dare l’allarme in caso di pericolo.
Negli anni 568-569 i Longobardi (nuovo popolo barbaro, cristiano ariano, venuto dall’est) iniziano la loro invasione della valle del Po. Si tratta di un’intera popolazione (una sterminata moltitudine di Gepidi, Bulgari e Longobardi), e non solo di un esercito, che giunge dalle Alpi Orientali e si stabilisce anche dalle nostre parti senza che nessuno li possa ostacolare, anzi, per evitare saccheggiamenti e devastazioni, le nostre popolazioni si consegnano subito ai nuovi invasori e invasati. La suddivisione sociale longobarda tra arimanni (uomini liberi e guerrieri), aldi (contadini semiliberi) e schiavi, è però poco applicata ai residenti della nostra zona.
A Valenza si stabiliscono alcune famiglie longobarde e di Gepiti (stirpe gotica, proveniente dalla Serbia) le quali all’inizio seguono le loro tradizioni, ma ben presto sono attratte dalla civiltà latina, o comunque da quella di questo luogo. Con gli anni si avranno, in conseguenza di ciò, inevitabili travasi vicendevoli di culture, in particolare dopo la conversione dei Longobardi al Cristianesimo.
TORNA AL BLOG DI PIER GIORGIO MAGGIORA
La lingua diverrà ufficialmente quella latina, con l’abbandono graduale della lingua germanica, ma in pratica il lessico della nostra gente tenderà sempre di più al volgare locale. Molti sono i toponimi di luoghi vicino a noi che possono essere fatti risalire ai Longobardi, in particolare quelli con suffisso in “…engo “, come Marengo, Murisengo, Odalengo, ecc.
Ormai la popolazione della nostra zona risulta sicuramente di provenienza molto “incrociata”, formata da meticci che possono vantare origini in mezza Europa. Un’etnia centrifuga che racchiuse in sé più di un’identità. Nel portentoso albero genealogico d’ogni valenzano, si possono trovare Liguri, Celti, Latini, Galli, Sarmati, Gepidi, Longobardi, Burgundi, Franchi. Con gli eventi successivi la lista infinita di viventi di passaggio si potrà estendere ancora notevolmente. La belligeranza con il passaggio di eserciti è sempre una tragedia eterna per molte donne del luogo.
Quello longobardo è un periodo storico di particolare interesse per l’evoluzione locale, in quanto questo popolo fiero e rude, ma nello stesso tempo amante dell’arte, si stabilizza nelle aree a noi vicine di: Lomello, Mugarone, Rivarone. Al re Alboino succede Autari e alla morte di questo la sua consorte Teodolinda. La famosa regina consorte longobarda elegge come una delle sue dimore la vicina città di Lomello.
Importanti tracce locali della dominazione longobarda sono tuttora visibili nella vicina Mugarone, come i resti della rocca (i castelli non esistono ancora) e della pieve. Nei primi anni del secolo scorso era ancora visibile a Rivarone l’antica rocca cui si dice che amasse sostare, durante la caccia, la regina cattolica Teodolinda.
Mentre alcuni borghi e città della zona rifioriscono sotto l’impulso longobardo, le nostre terre sono ridotte in grave miseria a causa di certi eventi naturali, come la grave alluvione del 589 che sradica abitazioni, colture e vigneti, i movimenti tellurici del 615 a cui fa seguito il prolificarsi del morbo della lebbra che causa parecchi morti. Oltretutto, la maggioranza dei valenzani appartiene alla fascia più bassa, formata da poveri e da emarginati.
Valenza è un borgo arroccato su una cresta che scende a picco sul Po, protetto da una cinta ristretta di mura entro la quale trovano posto rozze abitazioni per lo più situate in prossimità dell’attuale piazza Statuto e lungo la strada Grande. A lato della piazza vi è la chiesa, intestata a San Massimo, un ambiente collettivo che viene adibito non solo al culto religioso, ma anche utilizzato per atti pubblici (contratti, testamenti, ecc.). La gente vive all’aperto, la via è il luogo di vita e del vissuto. Anche le abitazioni molto piccole e poco confortevoli inducono le persone a vivere le giornate in strada. Ormai ci si muove solo a piedi, le rettilinee vie di comunicazione ereditate dall’Impero romano si sono dissestate e sono diventate quasi inagibili.
L’agricoltura, attività predominante nella nostra zona, richiede un enorme dispendio di energia umana in quanto i lavoratori della terra, privi di macchine e attrezzi adeguati, svolgono a mano tutti i lavori. I contadini, liberi all’epoca dei Romani, sono scesi al rango di servi della gleba (della zolla), legati di padre in figlio alla terra che lavorano per conto del signore. Tutti gli abitanti ricevono protezione dal loro signore in caso di invasioni e scorrerie nemiche, ma devono a lui obbedienza assoluta.
Di notevole importanza è il ritrovamento di una delibera (del 773?) con cui Desiderio, re dei Longobardi, concede garanzie di libertà ai valenzani (archivio famiglia Tarony). Se veritiera, si tratta del più antico documento riguardante Valenza di cui si possieda notizia e rivela una sintonia inedita, quantomeno sorprendente, tra il potere longobardo e i valenzani.
Trascorsi due secoli dall’avvento, nel 774 termina la dominazione longobarda in Italia. Carlo Magno re dei Franchi (ostetrico del feudalesimo, gran difensore della Chiesa e da essa sostenuto) discende in Italia e vince Desiderio (re dei longobardi e re d’Italia dal 757 al 774). Carlo Magno prende anche il titolo di re dei Longobardi e successivamente quello di primo imperatore del Sacro Romano Impero, conferma ed amplifica le donazioni alla Santa Sede. Il grande sovrano franco porta un certo ordine generale, rispetta i vecchi costumi, promuove l’agricoltura, il commercio, riforma la moneta, favorisce la cultura trascurata dai Longobardi. Pare che l’imperatore di ritorno da Roma, dopo l’incoronazione del Natale 800, sosti nella nostra zona nel giugno dell’anno 801.
Dopo la tanta confusione vissuta in una società ad alto tasso d’anarchia e di violenza, si sviluppa un nuovo ciclo sufficientemente regolamentato. Alcuni lavorano, altri pregano e altri combattono; il commercio, anche per via fluviale, valorizza sempre più i movimenti sul Po. Le strade tornano a rianimarsi, pur restando un rifugio dei briganti pronti a farsi beffe delle regole. La moda del tempo, ispirata al fanatismo religioso, vieta l’uso di beni voluttuari, posto che qualcuno abbia i denari per acquistarli.
La zona valenzana (ai bordi della riserva Silva Urba) è stata e sarà per lungo tempo luogo di scorrerie di caccia dei Re Longobardi e Carolingi quali, Teodolinda, Cuniperto, Liutprando, Lamberto di Spoleto, quest’ultimo perde la vita in questo territorio nell’anno 898 mentre insegue un cinghiale o forse è assassinato da parte di Ugo, lo spietato conte di Milano (doppia la versione narrata).
Verso metà 800, queste contrade costituiscono il feudo di Liutardo dei Conti vescovo di Pavia (dal 830 al 864) nel Comitato di Lomello (Contea istituita dai Franchi nell’847, dove risiede il graf o conte, ed è capoluogo del gau, contado). Da una mappa del 856 si rileva con certezza che Valenza appartiene al Comitato di Lomello. Anche da queste parti operano i monaci colombaniani della potente abbazia di San Colombano di Bobbio, attivissimo centro di evangelizzazione e di rinascita agricola.
Per un secolo la zona valenzana non è stata importunata, ma, caduto l’impero franco-carolingio (anno 888), e dopo alterne vicende per la corona, si succedono terrificanti invasione di Ungari e Saraceni che causano gravi rovine in tutto il territorio ed è in questo periodo di confusione che le genti di questo luogo realizzano ulteriori saldi dispositivi difensivi, convertendo il borgo agricolo in munita fortezza difesa dalla stessa popolazione inquadrata in milizia civica.
Giova qui rammentare in breve le vicissitudini dell’Europa e dell’Italia dopo lo sfacelo dell’Impero Carolingio. Si formano dapprima tre regni: di Germania, di Francia e d’Italia. Re d’Italia è proclamato il duca del Friuli, Berengario, ma ben presto scaturiscono discordie interminabili tra i vari feudatari che si contendono il trono, cosicché nel 962 l’Italia finisce col perdere l’indipendenza e cade sotto il dominio dell’Imperatore di Germania, Ottone I (il grande restauratore del Sacro Romano Impero).
Alla fine del millennio nasce la società feudale, le terre di Valenza (chiamata dallo storico pavese del ‘500 Bernardo Sacco «Nuova Valentiam olim Valentinum»), facente parte del primo fondamento di Monferrato, sono governate in modo improvvisato da Oberto d’Astiliano, derivante da Aimone (conte di Vercelli dal 950 al 966, discendente da Manfredo IX, un vassallo regio conte di Lomello della famiglia franca dei Manfredingi) che le ha avute dal vescovo filoimperiale Ingone di Vercelli nel 965, a seguito della concessione del 30 dicembre 962 (documento del 29 gennaio 963) dell’imperatore Ottone I.
Le mura sono il simbolo più manifesto della città, sempre oggetto di mirabolanti lavori di fortificazione e di ampliamento. Opere rese necessarie sia per opportunità di ordine bellico, sia per far posto ai numerosi fuggiaschi che dalle campagne si rifugiano entro il perimetro difensivo cittadino.
La città è così rinchiusa entro rudimentali cinte murarie successive ed è posizionata su tre frazioni (terzieri); Astiliano, Bedogno e Monasso. La struttura conserva però ancora l’aspetto del borgo primario; il nuovo è sorto in buona parte sul vecchio. Astiliano, trapiantato alla costruzione di Valenza sul pianoro prospiciente il fiume Po, è il terziere più esteso, rappresenta la parte centrale distinta da quella di Monasso situato a ovest e Bedogno, posto ad est. Attorno alla piazza centrale (oggi piazza Statuto), vero fulcro e luogo di incontro, si è formata una fitta rete di stradine buie e cieche, talvolta più simili a cunicoli, con edifici sporgenti per difendersi dal vento e dalla pioggia.
Nasce in questo modo, sotto la spinta d’incombenti necessità, la fortezza Valenza. Diventerà nel corso dei secoli uno dei maggiori punti fortificati a difesa del Po, ma anche un insostituibile luogo di trasporto fluviale e anello d’unione per i molteplici scambi commerciali.