San Remigio, una storia che ci accompagna dall’anno Mille
Presentato a Parodi Ligure il nuovo volume di Roberto Benso che ripercorre le vicissitudini dell'abbazia
PARODI LIGURE — “Chiesa abbaziale di San Remigio di Parodi Ligure, un patrimonio d’arte e di storia” è il libro curato da Roberto Benso e da poco pubblicato che ripercorre le vicissitudini dell’antica abbazia. Ad inquadrare la storia che ha portato poi alla riapertura dell’edificio è stata Liliana Pittarello che, negli anni Ottanta, era funzionario della Sovrintendenza di Torino.
Ad abbandonare la chiesa negli anni Cinquanta era stata la Curia di Genova che la preferì alla nuova parrocchiale di San Remigio e San Carlo. «Dovettero passare parecchi anni perché San Remigio e il suo rapido degrado richiamassero l’attenzione degli operatori della tutela – spiega oggi Liliana Pittarello, che negli anni Ottanta era funzionario della Sovrintendenza – Per San Remigio e il suo salvataggio dal 1976 scesero in campo tutte le persone, associazioni e uffici, che oggi hanno un ruolo nell’azione della tutela».
L’architetto Pittarello svela che «l’iniziativa maturò in sede locale, quando l’amministrazione comunale, capeggiata dal sindaco Bruno Merlo, e la professoressa Franca Guelfi, consigliere nazionale di Italia Nostra, nel 1976 iniziarono di concerto a battere tutte le possibili strade per ricercare una soluzione».
L’infaticabile lavoro di tutti i vari soggetti riuscì ad ottenere la concessione in uso della chiesa al Comune e iniziò il reperimento dei fondi per iniziare qualche intervento di recupero strutturale di San Remigio. Il volume di Benso raccoglie, con precisione, le varie fasi del restauro di questo bene architettonico risalente all’anno Mille grazie agli interventi degli storici Emilio Podestà e Lorenzo Tacchella e dei professionisti come gli architetti Beppe Merlano e Roberto Burlando.
Ad occuparsi negli ultimi anni del restauro è stato l’architetto Burlando, il quale, nell’illustrare gli interventi eseguiti, ha fatto notare ai presenti che sul pavimento completamente rifatto si notano degli strani segni. «Sono del gatto della fornace di Sezzadio – rivela Burlando – che ha lasciato le sue impronte e io ho voluto che quelle piastrelle fossero comunque utilizzate perché, in qualche modo, simboleggiano la vita che continua e San Remigio continua a essere un testimone del tempo».