Pernigotti, i lavoratori tornano davanti al cancelli della fabbrica
Venerdì presidio insieme ai sindacati per chiedere chiarezza sul futuro dello stabilimento
Presidio davanti all'azienda dolciaria di Novi Ligure: «Situazione peggiore che nel 2018, allora lo stabilimento produceva, ora è fermo»
NOVI LIGURE — Se la fabbrica non torna a funzionare entro giugno, la Pernigotti è morta. Non hanno usato mezze parole i rappresentanti sindacali che oggi hanno partecipato al presidio simbolico organizzato davanti ai cancelli della storica azienda dolciaria di Novi Ligure. Produzione sostanzialmente ferma, rete commerciale azzerata, fine degli ammortizzatori sociali (al 30 giugno, appunto) e una “trattativa fantasma” con un fondo d’investimento legato a Jp Morgan: elementi che, messi tutti insieme, giustificano la conclusione a cui sono giunti Cgil, Cisl e Uil.
«Dopo l’incontro del 24 novembre scorso al ministero dello Sviluppo economico ci siamo impegnati a non “disturbare” la trattativa con Jp Morgan, che però non ha mai visto la luce – ha detto Tiziano Crocco, segretario provinciale della Uila Uil – E anche tutte le altre promesse dei Toksoz sono state disattese: niente formazione per i lavoratori, niente investimenti sulla ristrutturazione dello stabilimento (nonostante i turchi abbiano speso ben 100 milioni di euro da quando hanno acquisito la Pernigotti), nessun potenziamento della rete commerciale, che anzi è stata smantellata e quei pochi rappresentanti rimasti sono stati messi in cassa integrazione».
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Venerdì presidio insieme ai sindacati per chiedere chiarezza sul futuro dello stabilimento
Il prossimo incontro al Mise si terrà entro fine marzo: «Troppo tardi, chiediamo alla politica locale di attivarsi e di sollecitare il ministero», ha detto Crocco. Nel frattempo, il 1° marzo i lavoratori saranno ricevuti dal prefetto di Alessandria Francesco Zito. «Entro il 30 giugno se non riusciamo a sbloccare la situazione l’azienda verrà chiusa o svenduta. La Pernigotti a quel punto sarà morta. Perderemo un patrimonio di Novi Ligure, del Piemonte e dell’Italia intera».
Le poche produzioni che oggi vengono realizzate nello stabilimento di viale Rimembranza sono destinate all’estero, dicono i sindacati schierati davanti al grande striscione «Toksoz go home» simbolo delle proteste del 2018. «Pernigotti ha già perso tre stagioni produttive – ha spiegato Raffaele Benedetto (segretario provinciale Flai Cgil) – Di questo passo perderà anche quella natalizia del 2022».
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Enzo Medicina, segretario provinciale Fai Cisl, ha sottolineato che l’accordo del luglio 2021 al Mise prevedeva la cassa integrazione per ristrutturazione e investimenti per 4-5 milioni di euro, rimasti solo sulla carta. «Rispetto a tre anni fa c’è una grossa differenza – ha detto Medicina – Allora c’era uno stabilimento attivo, che portava i propri prodotti sugli scaffali. Ora la fabbrica è ferma da tempo. La proprietà turca non è in grado di far funzionare lo stabilimento? Venda e si faccia da parte. In Italia ci sono gruppi seri che possono essere interessati a Pernigotti. Ma non ci sono trattative concrete e anche l’ipotesi del commissariamento è fantascienza».
Le rsu, con Piero Frescucci, hanno ricordato che lo spezzatino è già iniziato: «Abbiamo perso il pezzo che dava i maggiori guadagni, il comparto dei semilavorati per gelateria, venduto al gruppo emiliano Optima nel novembre 2019». «Da tempo non abbiamo più contatti con la proprietà», ha detto Gianni Dispensa, anche lui dipendente della fabbrica e componente delle rsu. «Non c’è più un amministratore delegato né una dirigenza, non sappiamo a chi fare riferimento, lavoriamo quasi in autogestione, è un chiaro segnale del disinteresse dei Toksoz», gli ha fatto eco il collega Roberto Demari.
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Al presidio hanno partecipato anche il sindaco Gian Paolo Cabella, il consigliere regionale Domenico Ravetti e diversi esponenti politici di tutti gli schieramenti. Cabella ha assicurato il sostegno della città. Ravetti ha annunciato che mercoledì in consiglio regionale chiederà l’intervento del governatore Alberto Cirio.