Residui di ADV in campioni di uova e latte, ma c’è anche il C6O4
C’è un pool per monitorare l’ambiente. I prelievi (relativi ai PFAS)eseguiti presso allevamenti nell’area del polo chimico
SPINETTA MARENGO – I Pfas hanno fatto il loro ingresso nella catena alimentare anche nella zona di Spinetta Marengo. A confermarlo è la Regione Piemonte che ha trovato la presenza di questi inquinanti nelle uova, e di residui di sostanze riferibili all’ADV (il Pfas a catena lunga prodotto nel polo chimico dagli anni ‘90) nei campioni di uova e latte. «In un solo campione di uova – specifica la Regione – è stata riscontrata anche la presenza del cC6O4».
«I risultati sono inferiori ai limiti recentemente proposti per gli alimenti dall’Agenzia Europea per la sicurezza alimentare – specifica, senza indicare però quali siano questi limiti e a quali sostanze siano riferiti – Sulla base dei risultati sono previsti nuovi studi che consentiranno di comprendere meglio quali siano le vie di passaggio dall’ambiente agli animali e da questi, attraverso gli alimenti, all’uomo».
Un tassello in più
La presenza di ADV, seppur definita in «residui», e di cC6O4 in un solo campione di uova, cosa significa?
Che la concentrazione – seppur minima – di queste sostanze all’interno dei prodotti alimentari (uova e latte) rappresenta una importante prova che queste sostanze siano entrate nella catena alimentare.
Se è vero che non c’è mai stata esposizione diretta ai PFAS attraverso l’acqua visto che l’acquedotto ne è privo – e l’acqua di falda di certo non si può bere laddove è inquinata – il fatto di trovarli all’interno degli alimenti rappresenta una via di esposizione che non era mai stata individuata nella nostra zona.
L’introduzione nel corpo umano attraverso questi alimenti di queste sostanze porta a sospettare che le stesse possano essere presenti anche nel sangue o in altri parti dell’organismo.
È proprio per questo che diventa sempre più necessaria un’analisi mirata della popolazione potenzialmente esposta perché, ora, c’è la probabilità che si sia entrati in contatto con queste sostanze attraverso altre vie di contaminazione attive fin dagli anni Novanta.
In sostanza, l’acqua è sicura. Ma gli alimenti?
Le analisi cui ci riferiamo «sono state effettuate su alcuni campioni – spiega la Regione – di uova e latte prelevati presso allevamenti familiari nell’area circostante il polo industriale». Quali sono questi allevamenti? Al momento non è dato sapere. La Regione specifica che la loro presenza – ovvero dei PFAS – è stata rilevata anche in un altro campione prelevato in un’altra area del Piemonte, distante dal polo chimico e identificata come territorio di confronto.
Il pool al lavoro
Il pool che sta lavorando per monitorare le problematiche ambientali con possibili impatti sulla salute è formato dalla Regione (capofila), di concerto con Arpa e Asl, e riguarda molte aree del Piemonte.
In riferimento a Spinetta Marengo, è stato definito un percorso di valutazione di rischio che prevede diversi tavoli di lavoro per disegnare uno studio che valuti l’esposizione verificando l’eventuale presenza e concentrazione di PFAS-PFOA-ADV (oltre ad altri inquinanti) nel sangue di persone esposte (ma non lavoratori) a Spinetta e nei comuni limitrofi.
Si stanno gettando le basi, in sostanza, per capire come determinare l’eventuale presenza di PFAS nell’uomo. Il gruppo si confronterà anche con la Regione Veneto sulle tecniche analitiche.
Emergono notizie significative dal colloquio con la Regione.
Spinetta «è una realtà particolarmente complessa nella quale i residenti dell’area per effetto di un contratto con i gestori del polo chimico hanno consumato acqua certamente non potabile dal 1946 al 2002; soltanto a partire dal 2008 l’intera popolazione residente nell’area ha avuto la possibilità di acqua potabile».
E poi ci sono gli studi epidemiologici del 2019. «Benché non abbiano consentito di determinare una correlazione tra condizioni di salute ed esposizione – spiega la Regione – a specifici fattori ambientali, rappresentano un’importante tappa nel percorso di conoscenza a supporto di interventi correttivi e di miglioramento delle azioni di tutela sanitaria e ambientale». Ricordiamo che gli studi di cui si parla hanno rilevato, per alcune patologie, forti eccedenze nella popolazione più esposta rispetto al resto della regione.
Per la Regione i Pfas sono molto poco biodegradabili e sostanze «ormai ubiquitarie, trovate nei ghiacci del polo nord a causa della loro elevata diffusibilità attraverso l’acqua e della loro bassissima biodegradabilità. Ognuno di noi viene ormai a contatto con quantità molto basse di PFAS in ogni luogo».
Ricordiamo agli amministratori locali e regionali – qualora ce ne fosse bisogno – che nella nostra zona esiste, da ormai 80 anni, un polo chimico che li produce.