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    «Ho
    La dottoressa Rosamaria Gatti durante i prelievi
    Cronaca, Generic
    Monica Gasparini  
    28 Settembre 2022
    ore
    10:31 Logo Newsguard
    Dossier Spinetta

    «Ho spiegato ai volontari che quei prelievi potevano essere una condanna»

    PFAS nel sangue: Rosamaria Gatti è il medico che ha effettuato i prelievi per l'inchiesta della tv belga

    ALESSANDRIA – Sono arrivati dal Belgio con siringhe, provette e contenitori per conservare il sangue. I giornalisti della televisione belga avevano, in sostanza, tutto l’occorrente per effettuare un’indagine ematologica per scoprire se il sangue di alessandrini e spinettesi è contaminato dai PFAS.

    Hanno semplicemente fatto ciò che avrebbero dovuto organizzare da tempo gli amministratori alessandrini.
    Il risultato degli esami è devastante, perché molti hanno valori elevati ad esempio di PFOA nel loro sangue.
    La TV belga non era sola. Con loro c’erano i vertici del Comitato Stop Solvay, Claudio Lombardi e un medico in pensione, Rosamaria Gatti, alessandrina, iscritta al Comitato. La dottoressa Gatti è colei che materialmente ha effettuato i prelievi. Casa per casa, famiglia per famiglia. Incontrando chi voleva sapere.

    E sono tanti i cittadini che volontariamente si sono sottoposti a questa prova. Un chiaro sintomo che le persone, seppur in silenzio, vogliono sapere, sono preoccupate e ora, dopo quei risultati, spaventate.

    ***

    Dottoressa, qual era l’obiettivo dei giornalisti belgi?
    Cercare sostanze nel sangue che potevano essere dannose. Il Comitato mi ha chiesto se avevo piacere di fare i prelievi visto che sono un medico, in pensione. Ho subito accettato. Loro sono arrivati dal Belgio con provette, contenitori per mantenere il sangue controllato, siringhe, insomma l’attrezzatura per procedere. Qualcuno dei volontari ha chiesto l’anonimato, perlomeno pubblico, anche se noi, ovviamente, abbiamo tutti i dati. Sono state due giornate intense.

    Come vi siete organizzati?
    Andavamo casa per casa, a orari ben stabiliti. Con me c’era sempre l’ingegner Lombardi, una persona del Comitato e i giornalisti belgi con i cameraman.

    Qual era lo stato d’animo dei volontari?
    Tra l’incuriosito e il preoccupato, qualcuno angosciato perché aveva famigliari deceduti o ammalati. Questo soprattutto a Spinetta: anche perché credo che sia impossibile trovare una famiglia che non abbia avuto, o abbia, un problema di questo tipo. Vorrei ricordare a tutti che nei casi di tumore tra l’ammalarsi e morire c’è un percorso di cura, controlli e tanto dolore. Un dramma sia per chi è stato colpito che per i suoi famigliari. Un percorso terribile.

    Quali sono le preoccupazioni?
    Qualcuno ha raccontato il dramma familiare. Chi non lavora più nell’azienda ha il terrore che possa capitare a loro. C’è chi coltivava l’orto e ha smesso, non intende più mangiare quella verdura. Altri hanno paura di comprare il latte se hanno il sospetto che arrivi da quella zona. Qualcuno non ha più le galline, dopo che ha saputo che le uova possono essere contaminate dai PFAS. Mi hanno fatto vedere parti di giardino – in linea d’aria vicino al polo chimico – bruciate, e si chiedono perché.

    Come si è sentita?
    Mi sono sentita un po’ in colpa. Per la professione che ho esercitato e che continuo ad esercitare. Perché sono un medico, anche se sono in pensione. Ho lavorato e vissuto cercando di aiutare le persone, per fare in modo che non stessero male. Ho cercato di evitare che avessero problemi, ad esempio informandoli su come alimentarsi per contenere i valori del colesterolo. Ora, invece, mi sono trovata a fare prelievi a persone ignare del pericolo che corrono di potersi ammalare. E spiegare che per loro, questi prelievi potevano significare una condanna contro la quale io non potevo nulla perché non ho gli strumenti.
    Vorrei che qualcuno al di sopra di me si servisse di questi dati, di queste informazioni, per aiutarli. Facesse qualcosa, insomma.
    Capisco che chi nasce muore. Ma non possiamo permettere che chi va a lavorare ci vada rischiando poi di ammalarsi. O abitare in una zona a rischio.

    Quali sono le domande che le hanno fatto?
    In tanti mi hanno chiesto cosa possono fare, perché nessuno sa dire loro cosa rischiano davvero. Cosa possono avere nel sangue.
    Io non posso fare nulla, li posso solo confortare a parole e curare per le malattie che possono manifestarsi. Ma non so perché gli sono venute. In quella zona ci sono alcuni tipi di patologie ricorrenti. Allora mi chiedo: a qualcuno è venuto il dubbio che possano essere riconducibili all’ambiente?
    Abbiamo effettuato prelievi anche ad Alessandria, che non è immune visto che è in linea d’aria.

    Perché ha accettato di aiutare i giornalisti belgi?
    Perché faccio parte di “Stop Solvay”. Perché amo la vita, mia e degli altri. E perché il famoso giuramento di Ippocrate io ce l’ho ben chiaro…
    E perché sono un’illusa, e speranzosa che se qualcuno inizia a lamentarsi e fa vedere che le cose non vanno magari viene anche ascoltato. Perché sia il Comitato che le persone che ruotano attorno non ne ricavano nulla a livello economico, lavorano solo per la gioia di fare qualcosa per il nostro ambiente pesantemente compromesso. Sono convinta che una lotta deve partire dal basso, dall’alto non parte più niente.

    Cosa pensa del fatto che ci siano voluti i belgi per scoprire cosa c’è nel sangue di quei 50 volontari?
    È sconvolgente.

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