Gli 80 anni di Gianni Rivera, eterno ragazzo d’oro
Nato il 18 agosto 1943: i salesiani, i Grigi, il rossonero, l'azzurro
ALESSANDRIA – Nato a Valle San Bartolomeo, che per qualcuno è diventata la ‘Betlemme‘ del calcio, perché lì, nel sobborgo di Alessandria, ha visto la luce Gianni Rivera. 18 agosto 1943, 80 anni fa.
Un compleanno di quelli ‘rotondi’, in cui il verbo festeggiare rischia di essere riduttivo. Oggi si celebra il ‘ragazzo d’oro‘ del calcio, che palleggiava contro il muro del cortile, nella casa in via Pastrengo, Canton di Rus.
Con la stessa facilità e la stessa eleganza di quel gol segnato alla Germania, il 4-3 nella partita del secolo, anzi del millennio.
Nato a casa degli Arobba, la famiglia di mamma Edera, perché la città era sotto le bombe e papà Teresio, ferroviere, a ogni sirena, correva dalla moglie incinta. Meglio sfollare, in campagna: qualche rischio in meno e una moltitudine di nonne, zie, cugine a prendersi cura del piccolo.
Gianni, appunto, perché la mamma aveva scelto quel nome. All’anagrafe, però, Giovanni, perché il rigido funzionario non voleva saperne di quel diminutivo senza che ci fosse in calendario un santo ufficiale per l’onomastico.
L’Oratorio, la strada, il Moccagatta
Nato per giocare a calcio, il pallone molto più che l’oggetto principale dello sport tanto amato. L’appendice naturale di un corpo che ha sempre racchiuso l’insieme delle qualità: intelligenza, visione di gioco, spontaneità, il talento di rendere facili a nche le giocate più difficile.
Per Rivera è sempre stato così: in via Mazzini dove passavano poche macchine si poteva improvvisare un campo, con borse e maglie a fare da porte, all’Oratorio dei salesiani, all’ombra del campanile di Santa Maria di Castello.
Con don Giovine che aiutava a fare i compiti e don Ceschia che, con la talare un po’ sollevata, si divertiva nelle partite con i suoi ragazzi. Rivera ‘fuori categoria’, nonostante quel fisico esile. I più grandi se lo contendevano e lui faceva la differenza.
Alla Don Bosco c’era Marzio Petterino, l’amico “che sarebbe diventato un mediano fortissimo” (parole di Rivera) se la malattia non l’avessero messo fuori dal campo. Marzio che è un serbatoio di ricordi.
Come lo è stato Gino Ressia, il più ‘vecchio’ tra i giovanissimi, promosso dirigente, che doveva sempre pagare i premi perché dove c’era Rivera, la vittoria era garantita. Ressia il primo ‘procuratore’ di Gianni, un contratto (con soldi) per il torneo a Castelnuovo.
Torti, Massimelli, anche Carletto Coscia ala leggera a cui Rivera, con i suoi lanci, metteva le ali.
E il maestro Angelo Fiore: quelli della Don Bosco, per sempre.
Sulla strada da casa all’Oratorio, o nel ritorno, la deviazione verso il Moccagatta una abitudine, per carpire qualche segreto ai giocatori veri, sognando di vestire la maglia grigia.
Cornara e Rocco
Beppe Cornara non avrebbe neppure bisogno di fargli il provino, ma lo convoca per la ‘leva calcistica‘: Rivera deve entrare nel nucleo addestramento giovani calciatori dell’Alessandria e brucia le tappe, non ha ancora 16 anni quando Franco Pedroni gli assegna la maglia numero 8, contro l’Inter.
Il ‘Pedro’ lo segnala al Milan, Liedholm e Schiaffino convincono Viani che, all’inizio non è è tanto convinto di quel ragazzino segaligno.
“Non è vero che la Juventus avesse fatto pressioni per me” ha sempre ripetuto: dopo il grigio, il rossonero, uniche pennellate quelle azzurre, a volte intense, altre tenebra.
Il giorno in cui firma il contratto, a Milano, c’è l’avvocato Gino Testa per l’Alessandria, e c’è papà Teresio: ancora un anno al Moccagatta, quello in cui la sua città saluta definitivamente la serie A.
Poi il Milan, di Rocco, del fattore ‘R’ (Rocco e Rivera appunto). “Io ti dico cosa fare, poi in campo ci pensi tu”. Ha vinto tutto, anche la Coppa Intercontinentale, nella ‘guerra’ con l’Estudiantes.
E la dualità con Mazzola, in nazionale, ha fatto tornare alla mente quella tra Bartali e Coppi
Proprio Fausto che, già febbricitante dopo il ritorno dall’Africa, a Genova è colpito da quel ragazzino in maglia grigia, contro il Genoa. “Diventerà un campione” la profezia.
Con il calcio giocato ha chiuso nel 1979, con lo scudetto della stella, vinto anche per il paron, un secondo padre, che se ne era andato pochi mesi prima.
Il pallone per sempre
“Allenare non fa per me” ha detto più volte. Eppure, pochi anni fa, ha preso il patentino e adesso vorrebbe risolvere i problemi di Gravina candidandosi come ct. Senza clausole da risolvere o soldi da pagare a De Laurentiis.
Nel calcio è statovicepresidente al Milan, fino all’arrivo di Berlusconi, e poi presidente del settore giovanile e scolastico e del Centro tecnico federale a Coverciano.
Senza pallone non può stare, possono confermarlo gli amici di una vita
Alessandrino anche se da troppo tempo ‘lontano’, non solo fisicamente, dalla sua città e dai Grigi, ma quella ‘erre’ arrotata, a ogni intervista, lo riporta idealmente a casa.
Insieme a Beppe Viola, sul tram a Milano, ha scritto una delle pagine più alte di giornalismo raffinato e popolare al tempo stesso, graffiante e affettuoso, emozionate come un pallone d’oro alzato al cielo.
“Non c’è posto al mondo in cui l’uomo è più felice che in uno stadio di calcio” ha scritto Albert Camus.
E Rivera in campo, la definizione è di Lietta Tornabuoni, è “una immagine così perfetta di felicità: così composto, così piemontese, impossibile da dimenticare”.
Buon compleanno eterno golden boy.
Ps: che anno il 1943, Roberto Vecchioni, Robert De Niro, Mick Jagger. E Gianni Rivera.