Quando il conflitto politico diventa pop e quando la cultura pop diventa (geo)politica?
Da qualche mese, seguo con interesse le nuove uscite di Treccani Libri e ovviamente lo faccio tramite Instagram, utilizzando gli accattivanti contenuti, quotidianamente proposti attraverso post e stories, per catturare l’attenzione dei miei studenti, quelli che alle 8.30 di mattina ti hanno già chiesto almeno tre volte a che pagina del manuale di storia si trova ciò che stai dicendo, per sentirsi ogni volta rispondere che “io stamattina il vostro libro l’ho lasciato a casa, o nel cassetto, non me lo ricordo!”
In questo scenario scolastico, i testi che stanno riscuotendo maggiore successo, per il momento, sono due: “Non mi ricordo le date!” di Alessandro Vanoli (spoiler: sarà dalle “nostre” parti nel mese di febbraio 2024 proprio per partecipare ad alcuni progetti scolastici, oltre che divulgativi, sul tema del rapporto tra storia e memoria); e “Geopolitica pop” di Giacomo Natali (entrambi usciti in questo 2023). E proprio l’ultimo testo è il “colpevole” di questo blog, e di alcuni spunti di discussione che possono essere riassunti in una convinzione che da lungo tempo mi attraversa e che insegnando non può che essersi consolidata: «La cosiddetta cultura pop non può solamente essere liquidata come tale, o giudicata incapace di assumere posizioni politiche, in senso lato. Anzi, spesso gli esempi pop restano quelli meglio capaci di attirare l’attenzione anche su temi più seri, soprattutto per le giovani generazioni».
Del resto, ogni comunità, per darsi un qualche fondamento, ha bisogno di una propria visione del mondo, ma in una società di massa, sovrabbondante d’informazioni e di tecnologia, come quella attuale, la stessa visione è più facile trovarla al cinema, in una serie TV, all’interno di un videogioco, in un brano musicale, o tra i reel di qualche content creator (non chiamateli più influencer!). Natali sostiene che «se la nostra comprensione di ciò che ci circonda è sempre mediata da segni e rappresentazioni culturali, ciò vale ancora di più per la nostra comprensione del mondo e dei rapporti internazionali, che raramente avviene per esperienza diretta, ma […] mediata dal consumo culturale di rappresentazioni create da altri».
Infatti, anche se probabilmente non ci soffermiamo spesso su simili riflessioni, l’ambito pop non riguarda soltanto il mero intrattenimento di milioni di persone, ma contiene, sempre di più, costruzioni sociali, conflitti, visioni del mondo, appunto: in altre parole, la realtà che ogni giorno abbiamo davanti viene rispecchiata da ciò che consumiamo (in senso lato, ovviamente): “luoghi” come l’Eurovision, o la casa di Peppa Pig diventano, in un attimo, scenari perfetti per “fare politica” e per accendere la discussione in tema di equilibri internazionali e/o di diritti sociali.
Eppure non sempre (addirittura raramente) riusciamo a riflettere seriamente sull’interconnessione tra cultura popolare, politica nazionale ed equilibri internazionali. Ma ancora Natali, nella sua introduzione, ci ricorda quanto possano essere importanti, per l’identità e la coesione di un popolo, tutte le forme culturali da esso prodotte.
Ecco perché, allora, è necessario guardare con occhi diversi – e magari mettere in discussione – quei prodotti che, inconsapevolmente, accettiamo di consumare senza porci alcuna domanda, né sul significato di ciò che rappresentano, né sul contesto in cui essi sono stati pensati. Al contrario, sentiamo il bisogno di identificarsi – o di dividerci politicamente – attraverso contenuti che in un attimo possono diventare una questione politica, o possono essere strumentalizzati a qualche scopo (pensate all’ampio dibattito sulla cancel culture e a tutte le proteste connesse, di caso in caso, ad esempio…).
Già nel 2018, Stefano Massini pubblicava per Il Mulino un libro dal titolo “55 giorni. L’Italia senza Moro”: nel quarantesimo anniversario dal rapimento e dall’uccisione di Aldo Moro – in mezzo ad una miriade di pubblicazioni sul “caso” – lo scrittore e sceneggiatore non ci pensa proprio a pubblicare un libro su Moro.
Ciò che propone è un brillante racconto di “volti, immagini, storie da un paese in bilico” e così il focus si sposta sulla vita quotidiana di quei giorni e l’Italia senza Moro (ma anche quella dell’assassinio di Peppino Impastato) diventa quella apparentemente “marginale” – l’Italia in hit parade, l’Italia in campionato, in guardaroba, nel bagagliaio, sul telecomando, in frigorifero, al circo e al Giro d’Italia. E proprio lì, al Giro, si raccontano storie che sembrano trovare continui parallelismi con la vita politica e sociale di quei terribili giorni. Perché non esiste storia – dice Massini – senza ciò che vi sta dietro.
In questo spazio, andremo alla ricerca di “casi” e notizie, nascosti in mezzo ad altre storie: nei musei, nella pubblicità, nello spettacolo, nei cartoni animati, nelle serie o negli show televisivi, nello sport o tra i contenuti di qualche piattaforma web. E come abbiamo visto, non è che stiamo parlando, poi, di un fenomeno così recente (ma soltanto in evoluzione): ve li ricordate i manifesti di Jacovitti – sì, il papà di Cocco Bill – per la campagna elettorale della Democrazia Cristiana del 1975? Veri e propri fumetti full color capaci di attirare l’attenzione di un elettore che si stava pienamente affacciando nella società dei consumi, sempre più bisognoso di attingere da linguaggi differenti rispetto a quelli della “politica tradizionale” (ne parla efficacemente Edoardo Novelli nel suo “I manifesti politici. Storie e immagini dell’Italia Repubblicana”, uscito nel 2021 per Carocci).
Ecco, quei manifesti erano inevitabilmente pop, oltre che efficaci da un punto di vista strettamente politico. Inconsapevoli che da lì a poco, sarebbe arrivata quell’Italia “senza Moro”, fatta di sceneggiati televisivi, hit parade, campionato di calcio e pubblicità del Mulino Bianco, che proprio nel 1978 lancia la sua campagna promozionale, mettendo in palio stoviglie in finta terra cotta e stile rurale (le avete ancora, vero, le scodelle marroncine con le rondini sul bordo?): eccola, quell’utopia di una valle felice, e di una vita perfetta, lontana da quella stagione del terrorismo e dai cambiamenti sociali ormai in atto.