Il commercio al dettaglio a Valenza nel nuovo millennio
Un nuovo approfondimento del professor Maggiora
VALENZA – Nei primi anni del nuovo millennio, Valenza risulta cambiata e non poco; un po’ per colpa sua, un po’ per colpa altrui. Cominciano ad addensarsi le nubi, soprattutto nel settore commercio al minuto, dove, più di tutti, soffrono le attività tradizionali. Le prospettive sono intaccate da situazioni inattese, L’apprensione c’è, anche se viene in parte dissimulata dietro formule rassicuranti, mentre si va verso lo sfaldamento del vecchio sistema di vendita. Anche la vecchia vendita esterna dei preziosi (viaggiatore con la valigia) si trova ad affrontare situazioni imbarazzanti; pure questa professione si è andata riducendosi drasticamente, lasciandoci le penne a poco a poco. La maggior parte delle imprese orafe mercifica ormai con solidi negoziatori.
La riforma del 1998 disciplina in modo nuovo il commercio al dettaglio, regolando i requisiti d’accesso, gli orari e le forme di vendita e facendo scomparire la licenza per esercizi di piccole dimensioni. Con questa riforma, ogni negoziante potrà calibrare al meglio le proprie offerte. Restano, però, certe assurdità burocratiche, con le amministrazioni locali che ficcano il becco dappertutto: su quando tirare su e giù la saracinesca, su quando si possono praticare gli sconti, ecc.
Ma la globalizzazione, la liberalizzazione delle licenze e la grande distribuzione sono la miscela che, in poco tempo, avvelenerà il settore, specialmente nei piccoli centri come Valenza. Con la globalizzazione, le merci viaggiano ormai senza confini e a prezzi stracciati; la liberalizzazione colpirà però solo una parte delle licenze, mentre altre (farmacie, tabaccherie, ecc.) ne saranno quasi beneficiate. Continua in questa città la scarsa propensione al consumo, che, con l’incidenza della grande distribuzione, crea una situazione sempre più difficile nella rete commerciale tradizionale, anche se nei diversi comparti l’aumento dei prezzi è mediamente contenuto. Con il settore orafo in grave affanno, i soldi nelle tasche dei valenzani si sono rarefatti, con consequenziali effetti negativi anche sullo shopping. Alcuni esercizi commerciali iniziano, così, a chiudere e tanti bar entrano in crisi per la mancata affluenza di clienti.
Va ricordato che la debolezza del commercio cittadino al dettaglio è anche da individuare, come sempre, nella vicinanza di Alessandria e da un rafforzamento commerciale di altri comuni vicini, con un tasso di crescita più elevato di quello valenzano. Gli indicatori di vendita e l’andamento generale dei dati fanno emergere un settore in sofferenza che, nel primo periodo, manterrà una qualche consistenza, mentre negli ultimi anni sprofonderà inesorabilmente fin quasi a dissolversi.
Anche se nei primi anni del Duemila le cessazioni sono di poco superiori alle nuove aperture, si afferma un turnover sempre più rapido: i negozi nascono e muoiono a tassi molto più alti rispetto al passato, senza che nessuno se n’accorga. In assenza di altri lavori e con il sostegno di genitori e nonni, sono diversi i tentativi dei giovani di darsi un futuro in questo settore, ma ben presto diversi di loro sono costretti ad abbandonare.
Alcuni esercizi chiudono le serrande per sempre; diversi titolari, però, alzano ugualmente la saracinesca di primo mattino e la riabbassano la sera, lavorando il doppio del previsto: stringono la cinghia, magari senza assaporare alcun periodo di ferie. Vanno avanti per una ragione: non hanno alternative, la bottega è sempre stata la loro vita, un amore indissolubile, e non avrebbero mai immaginato una fine così.
Poi, come se le cose non fossero già complicate, crescono gli obblighi fiscali e le imposte, favorendo la stagnazione e, per molti, l’eccidio commerciale. Non manca il monologo mirato a minacciare sanzioni a chi non rispetti certe imposizioni.
Anche in questo settore le due organizzazioni di categoria non vanno troppo d’accordo e il motivo principale è sempre quello politico. Nei primi anni del Duemila, la delegazione locale dell’Ascom, ha circa 150 associati, ridottisi rispetto ai 250 degli anni precedenti, e la Confesercenti ha perso anch’essa diversi iscritti, riducendosi a poco più di un centinaio. Tra l’amministrazione comunale e l’Ascom non c’è mai stata troppa collaborazione, meglio per gli altri della stessa chiesa dei governanti locali. Ormai sono nettamente in difficoltà anche quella cinquantina di punti vendita di gioielli al dettaglio cresciuti parecchio in precedenza, molti dei quali saranno presto disattivati. Complicazioni e polemiche sono derivanti finanche dalle aste televisive. Anche se dai dati ufficiali le cessazioni sono di poco superiori alle nuove aperture, con un turnover sempre più rapido i redditi dei piccoli commercianti sono nettamente in calo. Mentre molti si stracciano le vesti, qualcuno ostinato continua a lavorare dicendo: “Meglio poco che nulla”.
È molto peggio negli ultimi anni che all’inizio del secolo, dopo che l’ultima grande crisi ha cominciato a picchiare severamente su tutta l’economia reale, mentre la liberalizzazione degli orari ha spostato ulteriormente le quote del mercato locale verso i supermercati, facendo compiere un altro passo verso il precipizio ai bottegai. La famosa linea rossa che separava il piccolo commercio dalla grande distribuzione è stata superata, ed è diventato facile computare le conseguenze per il futuro.
Una cosa è certa: negli ultimi anni spopolano i centri commerciali, mentre finiscono nel dimenticatoio le realtà minori, spesso più vicine alla clientela e al territorio. La grande distribuzione sconvolge il tessuto commerciale della città e, con le aperture festive, il piccolo commercio non riesce a stare ai ritmi dei centri commerciali. Per le tasche dei valenzani c’è di che rallegrarsi, per Valenza un po’ meno. Si dilegua il fascino del contatto umano, quella simpatia che si creava tra chi vendeva e chi comprava; i negozietti vicino a casa, ora in difficoltà anche per i contratti di locazione ingessati sui prosperosi bei tempi, sono passati più volte di mano, finché non hanno chiuso. In tutto questo, si evidenzia unanime il silenzio dei politici, che si sono basati solo su stereotipi irrazionali o hanno fatto interventi leggeri incapaci di incidere.
Nel periodo, continua la fase di espansione dei gruppi della grande distribuzione organizzata. Le cattedrali del commercio, capaci di soddisfare ogni necessità, sono ormai diventate l’emblema della modernità. Viene aperto un guarnito Iper Esselunga, che rimuove alcune vecchie botteghe dal mercato in modo definitivo. Poi, il 23 settembre 2008, apre al pubblico il nuovo centro commerciale Nova Coop di regione Cappuccini (da tempo la Coop operava in via Pellizzari); l’insediamento ha una superficie di 4.800 mq destinati alla vendita e vi lavoreranno 200 dipendenti – i supermercati continuano a essere il bacino più ragguardevole di opportunità lavorative del settore. All’ipermercato sono affiancati un punto vendita dedicato a elettrodomestici, elettronica e telefonia, il bar e il ristorante. La tredicesima apertura di Ipercoop in Piemonte costa un impegno finanziario di circa 25 milioni di euro. Quanto all’utilità e alla convenienza, resta qualche dubbio.
Ormai da anni, nei giorni festivi, i pieni di gente si hanno all’Esselunga o alla Coop anziché nel centro della città. In questi ultimissimi tempi, però, la questione della concorrenza a Valenza non riguarda solo i negozi, ma anche i colossi della grande distribuzione (Coop, Esselunga, Unes), per non parlare dell’algida neutralità di Internet.
Il commercio tradizionale cittadino è stato indubbiamente mortificato, la recessione si è mangiata un centinaio di imprese, gli interventi a sostegno sono stati pochi, alla faccia del tanto decantato centro commerciale naturale. Le code dei saldi segnalano distorsioni e disgregazione del mercato, con una vasta gamma di prezzi per lo stesso prodotto. Nel momento in cui i supermercati hanno iniziato a vendere i giornali è stato anche l’inizio del calo per le edicole, un’occupazione che piaceva a molti e un investimento fugato per gli scalognati. Attualmente sono rimaste 6 edicole, qualcuna con connotati di agonia, e 11 tabaccherie: l’imponderabile resta in agguato.
C’è stato un crollo delle aperture nel centro storico e una gran voglia di sbarazzarsene, con un gran numero di negozi sfitti che interessa non solo corso Garibaldi, la strada dello shopping che ha risentito dei cambiamenti della città, ma anche le vie adiacenti e molte altre fuori dal centro. Anche il mercato coperto comunale, nell’occhio del ciclone, è stato chiuso nel 2012 con l’intenzione di venderlo all’incanto, ma non si riuscirà a trovare compratori, malgrado la struttura si trovi in una posizione strategica al centro della città.
È il fenomeno chiamato “desertificazione commerciale”. I consumi di troppi articoli sono crollati. Solo il mercato all’aperto settimanale ha conservato una certa attrattiva sovracomunale, sia per numero di banchi che per composizione merceologica, anche se, col tempo, sono stati sempre più numerosi i banchi di ambulanti extracomunitari che hanno rilevato il posto degli storici colleghi.
Tante delle vetrine che sono sparite rappresentavano vecchi amici che accompagnavano la vita quotidiana dei valenzani, mentre sono state in costante e silenzioso aumento le imprese straniere, in prevalenza cinesi, i cui negozi si sono moltiplicati in questi anni. Tra non molto, il dominio giallo sarà un dato di fatto, poiché è sempre più difficile fare concorrenza a loro, avendogli consegnato irragionevolmente il nostro modello di business.
Andando avanti di questo passo e incapaci di reggere l’urto, fra non molto a Valenza non esisteranno più negozi e non c’è da andarne troppo fieri. Galoppa, invece, l’e-commerce, che raddoppia costantemente in pochi anni, ma molti valenzani si sentono vulnerabili al riguardo: non hanno la preparazione per intenderlo né l’abilità per realizzarlo.
Guardando dentro i numeri, negli ultimi dieci anni il commercio al dettaglio locale ha perso quasi il 20% delle imprese, che prima erano circa 200. Anche la permanenza della clientela nei negozi si è ridotta: solo il 50% si ferma in negozio tra i 10 e 30 minuti, mentre il 15% resta meno di 5 minuti; l’86% proviene da Valenza e solo il restante 14% viene da fuori.
Durante la lunga stagione pandemica, in cui il governo decideva quando chiudere, quando andare a lavorare o quando andare a mangiare la pizza, quest’attività ha subito cali del 28% nel fatturato e una perdita dell’attrattività del 16%. Negli ultimi tempi, il commercio all’ingrosso e al dettaglio locale ha circa 500 imprese – erano 600 dieci anni fa – di cui la metà sono imprese individuali e circa un terzo quelle al dettaglio. E poi c’è lo shopping on line, che oggi non è più solo Amazon. Ormai, la consuetudine è comprare da casa, senza la fatica di spostarsi, e spendendo meno; per la vendita tradizionale questo è un altro concorrente spaventoso e, per certi versi, fatale.
Al grido di dolore di una categoria, ormai assimilata a una classe reazionaria in bilico fra l’estinzione e la sopravvivenza, l’amministrazione comunale risponde da tempo con progetti fantasiosi o obsoleti, che hanno un’alta probabilità di delusione delle aspettative già in partenza, e in questo, tra cambi di amministrazione, ogni partito fa la sua parte, il resto è recita e ipocrisia. Recentemente, per il Distretto urbano del commercio “La città dell’oro”(DUC), è arrivato il contributo dalla Regione, che potremmo definire tanto fumo e poco arrosto, più un’elemosina per sopravvivere che un vero sostegno alle spaesate imprese del settore. Questo è stato accompagnato dalle riesumate idee oniriche di future opere di riqualificazione urbana locale, le solite cose che si dovrebbero fare e che fare non si può, o, peggio ancora, opere grandiose dai costi enormi come sono state fatte in questi anni e ben presto abbandonate, quali il Golden Tulip Ianua Hotel e il Palafiere. Sempre con le migliori intenzioni si capisce.
Di sicuro, è vero che da anni il commercio valenzano deve fare i conti con problemi e dissidi locali che alimentano fratture e polemiche, provocando scontentezza e una melassa di buone intenzioni. Anche l’Ascom, la Confesercenti e le varie associazioni della categoria, di cui alcune locali nate e scomparse in breve tempo, con il loro intento di rivitalizzare e rendere attrattiva la città, sono servite a poco, non riuscendo a frenare il comparto dall’andare verso il viale del tramonto; hanno avuto lo stesso risultato i tanti incontri e progetti cavalcati in chiave politica e spesso alimentati solo da un’intenzione polemica: alcuni parlano come la Sibilla Cumana, protestano vagamente per farsi pubblicità.
È evidente che anche a Valenza, con la scomparsa degli esercizi commerciali, sia decaduta pure la sicurezza. Alla sera, la città è vuota e deprimente e si anima solo di mascalzoni intimidatori, spesso agghindati da circo equestre; solo certi saltuari eventi riescono ad attirare i valenzani verso il centro, che, tra i rimpianti, si sta spegnendo sempre più. Uno scenario impensabile qualche decennio fa.
Ricordando com’era la città una volta, si spera in un rilancio, che però sembra un’aspettativa messianica sempre più velleitaria per questi commercianti stanchi, avviliti e lasciati a loro stessi. Possibilità che accada? Per nulla.
Con buona pace di romantici e idealisti, purtroppo, queste memorie passate sono viaggi dolorosi e ingombranti che provocano solo un sentimento di perdita e di nostalgia per una Valenza che non esiste più.