Wilson.ai
A fronte di un'ora di utilizzo mensile di ChatGPT, gli AI Companion di Character.ai sono usati 20 ore al mese. Da assistente, l'Intelligenza Artficiale è diventata un confidente.
Venti ore al mese. Tanto tempo trascorrono, in media, 128 mila italiani a conversare con un’intelligenza artificiale come Character.ai. Non per cercare risposte rapide o sintesi di articoli, ma per parlare. Di sé, dei propri dubbi, dei sentimenti. Un tempo confidenze riservate all’amico fidato, oggi condivise con un soggetto digitale, spesso scelto e modellato su misura, con il costante rischio che ci dia sempre ragione.
È la nuova era degli “AI companion”: chatbot con cui si dialoga non per necessità, ma per la sorpresa di essere capiti. Character.ai, Replika, MyAI di Snapchat: piattaforme in cui non si viene interrotti, né giudicati. E dove la capacità dell’AI di adattarsi, ascoltare e restituire suggerimenti pertinenti, mai banali e calibrati sulle emozioni espresse, crea un tipo di intimità nuova.
La AI, da assistente a confidente
Aprirsi appare più facile di un tempo, e non solo da chi soffre di solitudine. Perché è più semplice parlare quando si sa che dall’altra parte non c’è impazienza né distrazione, ma una disponibilità costante: dall’economia dell’attenzione dei social media, stiamo passando all’economia dell’attaccamento dei chatbot.
Per anni ci siamo domandati se l’Intelligenza Artificiale fosse “senzienti”, dotata di coscienza. Ma la vera domanda non è chi risponde. La questione da affrontare è perché tanti cominciano a preferirne le parole a quelle di persone in carne e ossa.
Nessuno ha del resto mai creduto che Wilson, il pallone di Cast Away, fosse vivo. Ma tutti hanno percepito quanto fosse vera la relazione che il protagonista intrattiene con lui. Il punto non è il pallone. È il legame che si crea. E forse, oggi, quel legame tra esseri umani e interlocutori digitali merita di essere osservato non con paura, ma con attenzione. Perché dice qualcosa non di ciò che manca, ma di ciò che funziona.