Crollo, lesioni e truffa: il 19 marzo processo d’Appello per i Vincenti
ALESSANDRIA – I coniugi Vincenti tornano, a breve, davanti ai giudici. Il 19 marzo Giovanni Vincenti e la moglie Antonella Patrucco affronteranno il processo d’Appello, a Torino, Seconda sezione: si tratta del procedimento che li vede accusati del crollo della magione di Quargnento, delle lesioni provocate ai vigili del fuoco Giuliano Dodero e Graziano Luca Trombetta, e il carabiniere Roberto Borlengo, della truffa all’assicurazione e della calunnia nei confronti di un vicino.
Lo scorso ottobre era stato il Gup, Paolo Bargero, a condannare i Vincenti rispettivamente a quattro anni di reclusione. Una decisione contestata da molti perché il giudice attribuì anche una responsabilità al caposquadra che impartì l’ordine “imprudente” di entrare nella cascina che poi si trasformò in una trappola mortale per i pompieri Marco Triches, Matteo Gastaldo e Antonino Candido.
La Procura di Alessandria, diretta da Enrico Cieri, impugnò la sentenza contestando la concessione delle generiche agli imputati, l’assoluzione dall’accusa di calunnia e la separazione del processo, in accordo con i legali di parte civile. Gli avvocati Giuseppe Lanzavecchia e Davide Daghino assistono il vicino di casa indicato inizialmente dagli imputati come principale sospettato autore della tragedia – e rappresentano il Comune di Quargnento. La sentenza è stata impugnata anche dagli imputati.
Il perché della decisione di primo grado
Il giudice spiegò il perché della condanna a quattro anni, per entrambi (hanno beneficiato dello sconto di un terzo della pena grazie al rito abbreviato), per i reati di lesioni dolose, crollo, e fraudolento danneggiamento dei beni assicurati.
Giovanni Vincenti beneficiò delle attenuanti perché confessò, partecipò al procedimento in maniera rispettosa ed adeguata, manifestò sempre grande dispiacere per le conseguenze patite dai Vigili del Fuoco e dal Carabiniere.
La contestazione del reato di crollo, per cui l’imputato è reo confesso, è giustificata dal fatto che gli immobili attinti dalle esplosioni erano inseriti nel tessuto urbano di Quargnento. Il che, a prescindere dall’orario notturno, denota un potenziale riverbero sulle persone che avrebbero potuto transitare in quella zona. Il crollo è infatti un delitto contro la pubblica incolumità.
Perché le lesioni dolose?
E’ indubbio che le lesioni, così come la morte dei tre pompieri, non rientrassero tra gli scopi dell’azione degli imputati che miravano invece ad ottenere l’indennizzo in denaro convenuto con l’assicurazione. Per i Vincenti, secondo il Gup, i fatti poi accaduti non erano da ritenere neppure tra gli eventi preventivabili in anticipo come altamente probabili.
In sostanza, non volevano fare del male ad alcuno, e che non avevano messo in conto che l’esplosione potesse uccidere, proprio perché la casa era disabitata e l’esplosione prevista in orario notturno. Erano stati esclusi, quindi, in capo agli imputati, sia il dolo intenzionale che diretto.
Il Gup entrò nel merito dell’esplosione evidenziando che era avvenuta in due momenti diversi, una a mezzanotte e una all’1.30. Fatto non voluto ma frutto “di una errata impostazione dei due timer: su quello che ha generato la prima deflagrazione erano stati attivati due programmi, uno all’una e trenta e uno lasciato a mezzanotte come impostato di defoult”. Per il giudice: uno sbaglio nell’attivazione.
Il fatto che siano avvenute due esplosioni a distanza di più di un’ora l’una dall’altra non significa che la seconda fosse una trappola per i Vigili del fuoco.
Quando Giovanni Vincenti ricevette la telefonata, infatti, non venne messo sull’avviso del pericolo della seconda esplosione perché sapeva di avere impostato i timer alla stessa ora. Pensò che fosse stato commesso qualche errore, e che tutto si sarebbe concluso così.
Il Gup attribuì però ad entrambi il dolo eventuale: il fatto di provocare dolosamente delle esplosioni all’interno degli edifici generò il rischio del crollo degli stessi, e avrebbe potuto verificarsi anche durante il sopralluogo dei Vigili del Fuoco. Per il giudice, gli imputati, nonostante sperassero che non accadesse nulla di ciò che poi è successo, ne accettarono il rischio.
A Giuliano Dodero venne liquidata una somma la cui entità teneva conto del fatto che lo stesso, nella sua qualità di caposquadra, impartì per il Gup una disposizione che appare essere connotata da una certa imprudenza, e che pertanto incide a norma dell’articolo 1227 (codice civile) sull’entità della somma a lui spettante quale provvisionale.
Il caposquadra, quella notte, nonostante avesse constatato che l’edificio già interessato dalla prima esplosione aveva le grate tagliate, esattamente come il gemello ancora inesploso (era evidente che fossero stati piazzati, come nel primo, altri ordigni esplosivi), e nonostante fosse stato informato dai Carabinieri che gli immobili erano disabitati per cui non c’era la necessità di prestare soccorso ad alcuno, diede disposizione ai membri della sua squadra di avvicinarsi, come ha fatto lui stesso, e di entrare contribuendo in maniera imprudente al verificarsi dell’evento lesivo. Per il Gup, inoltre, se vi fosse stato qualcuno in cascina sarebbe uscito dopo la prima esplosione.
Ora sarà la Seconda sezione della Corte d’Appello a dover analizzare gli atti, a decidere sull’entità della pena inflitta ai Vincenti, e sull’assoluzione disposta dal Gup del primo grado per quanto riguarda il reato di calunnia.
Il processo per la morte di Triches, Gastaldo e Candido si è concluso l’8 febbraio scorso: la Corte d’Assise di Alessandria ha condannato gli imputati a trent’anni di carcere.